Omelia (31-08-2003)
don Fulvio Bertellini
Ritornare puri

Il mantenimento della purità legale era diventato uno degli obiettivi fondamentali dell'ossevanza della Legge nel Giudaismo al tempo di Gesù. Poco comprensibile ai lettori di Marco, risulta abbastanza oscura anche a noi. L'evangelista si premura di farci conoscere una serie di riti tradizionali legati al mantenimento della purità: lavatura di piatti, bicchieri e stoviglie, abluzioni, la cura di lavarsi al ritorno dal mercato. Tutti riti che ci appaiono largamente superati, ed è logico che Gesù li abbia aboliti. Meno logico ci appare che l'evangelista Marco dedichi un intero capitolo del suo Vangelo, addirittura un capitolo centrale, alla questione. E, fatto quasi unico, abbiamo qui un lungo discorso di Gesù. Uno dei pochi punti del Vangelo di Marco in cui l'evangelista non si limita ad accennare al fatto che Gesù insegna, ma ci dice che cosa insegna, e si dilunga sul suo insegnamento.

Al cuore della Parola di Dio

Al centro dell'Antica Legge di Mosè stava il libro del Levitico, in cui uno dei temi predominanti è proprio quello della purità legale. La cura dei farisei per lavaggi, abluzioni, e riti vari non era un'ossessione paranoica campata per aria, ma derivava proprio dalla meditazione della Legge fondamentale contenuta nel Levitico. Gesù quindi non può fare a meno di affrontare il problema, e non lo risolve semplicemente abolendo gli antichi riti, e sostituendoli con una vita morale buona. Se riduciamo il suo messaggio in questi termini, non facciamo neanche un passo in avanti rispetto ai farisei. Costoro si credevano puri per le loro abluzioni, noi ci crediamo puri perché non ammazziamo nessuno, non diciamo bugie, non diciamo bestemmie, non rubiamo. Neanche questa è ancora la purezza di cui parla Gesù.
Nel libro del Levitico l'esigenza fondamentale della purità, collegata alla "santità" di Dio, è il poter stare alla presenza di Dio. Se Dio sceglie di abitare in mezzo al suo popolo, il popolo deve adeguarsi alla sua santità. I vari riti hanno un valore simbolico, rappresentano la volontà del popolo di essere il popolo di Dio.

Ritrovare il cuore

Quello che Gesù rimprovera ai farisei è l'essersi fissati minuziosamente sulla serie dei riti di purificazione, dimenticando l'esigenza fondamentale della Legge: lo stare alla presenza di Dio, che richiede la "purezza". E' interessante notare che Gesù mantiene il vocabolario della purezza, e il corrispondente vocabolario della contaminazione. Viene il dubbio che non si possa fare a meno della carica simbolica di questo linguaggio. Gesù rivela ai suoi discepoli che la purezza è un fatto del cuore: non deriva dall'esecuzione meccanica di gesti esterni, e non è intaccata meccanicamente da determinati fattori esterni. Non dobbiamo però intendere qui il "cuore" semplicemente come i "sentimenti", e neanche soltanto come l'interiorità della persona. Il cuore rappresenta l'uomo integrale, con la sua libertà e responsabilità. Ciò che esce fuori dal di dentro è ciò che contamina, e qui si propone un lungo elenco: prostituzioni, furti, omicidi, fino ad arrivare ad orgoglio e stoltezza.

Materializzazione

Non è semplicemente una condanna dei pensieri cattivi. E' un cuore cattivo che li produce, e li accoglie, e dà loro consistenza effettiva: le intenzioni cattive prendono corpo nelle nostre azioni, volute dalla nostra libertà, ed è questo che inquina la nostra coscienza e tutta la nostra persona. Per questo Gesù non si limita a sostituire le norme di purità con altre regole morali, ma rivela in profondità ai farisei di allora e a noi farisei di oggi che è il nostro cuore che ha bisogno di purificazione, e che le nostre azioni cattive non restano senza effetto sulla persona. Al centro del Vangelo di Marco sta collocata questa rivelazione, che prepara l'annuncio di Gesù, Figlio di Dio, l'unico che può purificare i cuori.


Flash sulla I lettura

"Or dunque Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno...": Il Deuteronomio è concepito come una serie di grandi discorsi che Mosè fa al popolo nel suo ultimo giorno di vita, giunto ormai al confine della Terra Promessa. In uno di questi discorsi è inserita una esposizione completa delle leggi dell'Alleanza, che ricalca in gran parte le leggi che già troviamo nel libro dell'Esodo. Si tratta dunque di una seconda esposizione della Legge, che potrebbe apparire come un inutile doppione. In realtà la ripetizione consente all'autore biblico di approfondire la riflessione sul significato e sulla portata teologica della Legge.
"Perché viviate ed entriate in possesso del paese che il Signore Dio dei vostri padri sta per darvi...": il fraintendimento fondamentale a cui è esposta la Legge divina è di vederla come un elenco di prestazioni, a cui corrisponde un premio proporzionato. E' il rischio del farisaismo, da cui Gesù mette in guardia nel Vangelo, che Paolo condanna nelle sue lettere, e a cui anche noi suoi discepoli siamo da sempre esposti: l'illusione di salvarci da soli, con la nostra abilità nell'osservare i precetti di Dio. Già nell'Antico Testamento, e anche in questo brano del Deuteronomio, vediamo come lo schema prestazione-ricompensa viene fatto saltare. Il dono gratuito infatti, precede la prestazione. Dio ha già liberato il popolo, gli ha dato la vita; la Legge mantiene in vita il popolo, e gli consente di appropriarsi definitivamente della Promessa. La Terra Promessa resta un dono, non diventa mai un diritto del popolo.
"Quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli". Notiamo anche che la Legge viene identificata come un tutto, che richiede un'adesione globale. Non è frammentabile nei suoi componenti, e non è possibile una fedeltà limitata o parcellizzata.
"Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé...": la Legge non è separabile dalla presenza di Dio vicino al suo popolo. Anzi, è il segno privilegiato, nell'Antico Testamento, della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Ancora una volta vediamo cone non si tratti di eseguire un elenco di comandamenti, come quando si completa la lista della spesa, ma di intraprendere un rapporto vitale con il Dio della Promessa e dell'Alleanza.

Flash sulla II lettura

"Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce...": l'esortazione dell'apostolo comincia con il ricordare che tutto il bene ci viene da Dio. Già sappiamo che Gesù è il ragalo per eccellenza da parte di Dio, dato una volta per tutte; la sua presenza però si fa sentire continuamente nella nostra vita; attraverso Gesù il Padre ci riempie continuamente di doni buoni.
"Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi": il dono diventa riconoscibile e percepibile attraverso la parola. Per mezzo della Parola è possibile riconoscere gli altri doni di Dio. E a partire dalla Parola, paragonata ad un seme capace di germogliare e fruttificare, è possibile progredire nella conoscenza e nell'amore di Dio.
"Soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo": dopo aver rinforzato i fratelli nella conoscenza del mistero di Dio, si può passare all'esortazione concreta. Orfani e vedove sono i poveri per eccellenza: si tratta dunque di un invito a prendersi cura dei poveri, dei deboli, di chi non ha tutela. Sorprende la seconda indicazione: "conservarsi puri questo mondo". Non è un invito al separatismo e alla diffidenza. Si tratta però di evitare tutti quei comportamenti che inquinano la consapevolezza di vivere nell'ambito della grazia e del dono buono di Dio. Il pensiero mondano è quello che porta alla autosalvezza, all'orgoglio, alla pretesa di agire per conto proprio.