Omelia (12-10-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
Il denaro fra ricchezza e povertà

Quando si scopre di essere vicini alla morte, tutti i pensieri e le preoccupazioni di ordine materiale che prima occupavano il nostro tempo diventano insignificanti. Sul letto di morte tutto infatti perde la sua importanza: il lavoro, l'attività che si stava svolgendo, i guadagni e il relativo conto in banca, i progetti che si stavano realizzando... specialmente in materia di lucro e ricchezza.
In questi casi si verifica la circostanza nella quale si comprende l'inutilità della corsa al possesso e la vanità delle ricchezze e dei beni di consumo... A che serve che abbia accumulato ogni avere e mi sia circondato di benessere economico ora che sto morendo? Forse l'oro, l'argento, il capitale acquisito mi guadagneranno un altro respiro? E così si scopre come tutto questo "è vanità e non è altro che un inseguire il vento" (Qoel 3)

Nella liturgia odierna tuttavia siamo indottrinati sul fatto che non occorre trovarsi in situazioni simili a quella appena descritta per comprendere quanto sia vana e assurda la brama del possesso: il vangelo di questa domenica ricorda che la cupidigia e la sete di potere e di successo economico sono deleteri in tutti i casi.
Attenzione: non intendiamo qui lanciare atti di condanna nei confronti di coloro che per in modo legittimo e a motivo di professione posseggono beni materiali che potrebbero essere di aiuto agli altri, vale a dire gli industriali, i proprietari terrieri, i banchieri, ecc, la cui attività molte volte è di ausilio al progresso economico del paese nonché garanzia di occupazione e sostentamento per molta gente: il possesso dei beni considerato in se stesso può rivelarsi in tantissime circostanze un' occasione propizia per esercitare l'amore al prossimo e la carità nell'aspetto del benessere sociale e collettivo. Chi riceve dei beni, non importa di quale misura ed entità, ha ricevuto la vocazione all'esercizio dei medesimi i per fini di giusta carità e di prodigazione verso chi ha bisogno
Ciò che si deplora è piuttosto l'egoismo nella ricercatezza, il lusso sfrenato e la sete di potere, nonché la ricerca ambiziosa del guadagno e del successo economico identificati come fini anziché come mezzi.
Tante volte il Siracide e la Sapienza esortano a non trovare la propria realizzazione e la soddisfazione del proprio egoistico tornaconto nella lussuria e nelle ambizioni di possesso poiché la ricchezza finalizzata a se stessa è un'illusione di felicità passeggera che logora il soggetto umano rendendolo sospettoso nei confronti degli altri, chiudendolo alle necessità del prossimo e conducendolo a confondere Dio con l'opulenza materiale.
Chi è avido e interessato al successo economico e materiale vive la condizione di eterna schiavitù dal proprio denaro: trascorrerà sempre notti insonni nella preoccupazione costante di venire derubato, si prodigherà nella strenua difesa dei propri averi misconoscendo ogni forma di amicizia e sospettando di tutto e di tutti, sarà portato a considerare gli altri in relazione alla sua utilità e ai suoi interessi e, cosa ancora più raccapricciante, non troverà mai soddisfazione nell'accumulare le proprie sostanze, giacché quanto più si possiede tanto più si tende a guadagnare rantolando negli inutili affanni e sospiri.

Come potrà allora un cupido o un lussurioso entrare nel Regno dei Cieli? Ne è escluso già in partenza, giacché egli stesso sceglie di non vivere la dimensione del Regno che invece comporta la gioia dell'amore, della solidarietà, della carità secondo la vita e l'insegnamento di Cristo...
Il passo evangelico odierno sottolinea altresì un'ulteriore illusione nella quale incappano coloro che ripongono esclusiva fiducia nelle ricchezze: quella di avere la coscienza a posto soltanto nel non fare il male o nel non danneggiare nessuno indipendentemente dalla nostra effettiva dedizione agli altri; nella risposta di Gesù al giovane ricco "Vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri" vi è infatti l'ammonimento per cui non basta omettere il male per essere graditi a Dio, ma occorre prodigarsi piuttosto per il bene e per la solidarietà verso il prossimo fino al punto da essere disposti a rinunciare alle nostre certezze materiali. Tanto più che tutto quello che si possiede non ci appartiene, ma ci viene dato in dotazione.
In altre parole, questo dice Gesù al giovane ricco: "Lodevole il fatto che tu non rubi, non uccidi, non commetti adulterio, ecc; ma nella logica del Regno di Dio non basta calcolare quello che NON SI FA' di male. Ci si deve interrogare su come impegnarsi nel bene, e a tale scopo le ricchezze materiali non soltanto ti sono di ostacolo, ma si riveleranno perniciose per te; tutto quello che possiedi ti è stato affidato a vantaggio degli altri e non ti appartiene. Nulla di strano quindi se ti chiedo di abbandonare ogni cosa per la causa del Regno.

Si potrebbe obiettare che la liturgia di oggi sia orientata in primo luogo a coloro che rinunciano ai loro averi per un fine di speciale consacrazione, come i religiosi e i consacrati. Il che è vero. Tuttavia siamo tutti chiamati alla fuga dalla cupidigia e dal possesso sfrenato; ma qual è allora l'atteggiamento da assumersi di fronte alle ricchezze materiali?
Ce lo spiega Salomone nel libro della Sapienza di cui alla prima Lettura di oggi quando egli esalta il dono della Sapienza come bene più prezioso rispetto all'oro, all'argento e a tutto il resto materiale. Il passo a nostro giudizio va integrato con quanto riportato all'inizio del in cui il monarca introduce il suo discorso qualificandosi come "uomo mortale alla pari di tutti e discendente del primo essere plasmato di terra."(Sap 7, 1). In altri termini riconosce la precarietà della propria vita e questo lo conduce a non attribuire eccessiva importanza alle ricchezze fuggitive e illusorie. Quello che infatti domanderà durante il suo governo non sarà infatti oro o argento, bensì la perizia e la prudenza del retto regime...
Dall'analisi attenta delle sue riflessioni impariamo a rifuggire pertanto due morbi opposti e in ugual misura perniciosi: da un lato quello della miseria, condizione di assoluta indigenza lesiva alla dignità dell'uomo; dall'altro quello dell'edonismo, della lussuria e della ricercatezza, realtà deprezzabili nei termini su esposti...

Invece, allontanare il cuore dalla sete del guadagno e dalla ricchezza intesa in termini egoistici e considerare i beni finalizzati al servizio del prossimo -non importa quanti ne possediamo- questa è la dimensione eccellente ed equilibrata, l'ideale della vita secondo Dio e della dimensione del Regno, che si chiama POVERTA'


LA PAROLA SI FA' VITA
-Spunti per la riflessione-


--Che valore hanno per me i beni materiali e le ricchezze?

--Mi sono capitate occasioni in cui potevo fare del bene? Quale atteggiamento ho assunto?

--Analizziamoci con sincerità: sarei disposto a rinunciare a qualcosa di consistente ma tuttavia per me superfluo a beneficio dei bisognosi?

--Educazione alla povertà: ci accontentiamo di quello che abbiamo, ci ciò che consumiamo a tavola, ecc...?

--Domandiamoci: miseria e precarietà nel nostro quartiere: che cosa fare?