Omelia (19-10-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
Nel servizio il beneficio spirituale

Ambizioni di potere e di arrivismo ve ne saranno state certamente anche fra gli apostoli di Gesù, se è vera l'espressione che Marco mette in bocca a Giacomo e Giovanni: "Vogliamo che tu faccia quello che ti chiederemo... di sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nella tua gloria." Vogliamo! Quasi a dire: "Maestro, siccome noi ti abbiamo seguito in tutto e per tutto, tu devi concederci che...". In Matteo (20, 20-22) una tale richiesta viene avanzata al Signore da parte della madre dei medesimi personaggi, che, almeno usa un tono più riverente; Marco invece ne rende protagonisti i diretti interessati la cui espressione è perentoria e categorica: Vogliamo!
Sembra una pretesa propria dei nostri giorni, in determinate situazioni nelle quali certe posizioni si assumono attraverso procedure di favoritismo, clientelarismo e "raccomandazione"; oppure altre circostanze nelle quali per poter ottenere ruoli o compiti altolocati ci si atteggia con determinate personalità con interessata irriverenza.
Trovandosi nei panni di Gesù, chiunque avrebbe ribattuto quanto meno con una replica di deplorazione e di rimprovero, ma fortunatamente Lui, lungi dal mostrare severità alcuna, trova le risposte più congeniali alla presente richiesta.
Piuttosto che rintuzzare la domanda con un secco diniego, Gesù infatti replica affermando l'assurdità di una simile pretesa: "Voi non sapete quello che chiedete!"

I due apostoli intenderebbero infatti collocarsi in una posizione inferiore a Gesù, ma tuttavia suprema perfino sul creato e addirittura sugli angeli e quella che avanzano è una pretesa da parte di Dio Padre Onnipotente. Simili decisioni soltanto Lui può adottarle infatti. Ma quello che più vorrebbe sottolineare il Signore è che i due apostoli altro non devono aspettarsi se non la ricompensa divina delle loro lotte e sofferenze per la causa del Regno.
In altre parole: "Ragazzi, piuttosto che avanzare simili pretestuosità, disponetevi a bere il calice che io sto per bere e a ricevere il battesimo che sto per ricevere! E' questo il senso della vostra vocazione e questo comporta la vostra decisa opera di evangelizzazione. Se berrete questo calice e riceverete a piene mani questo battesimo, il Padre vi accorderà il premio eterno che LUI SOLO stabilisce nei suoi divini e ineffabili voleri!"

Il "battesimo" esprime la morte violenta e deprimente di croce che interesserà Gesù.
Il "calice" nella Scrittura esprime sempre un intervento di condanna da parte di Dio (Cipriani Cfr. Sal 69), un emendamento di punizione causato dalla colpa di infedeltà da parte dei pagani. Gesù lo riceverà non perché avesse colpa alcuna, ma per il fatto che vuole salvare tutti gli uomini attraverso un destino cruento, addossandosi egli stesso sulla sua carne le pene che meritano tutti gli uomini a motivo delle loro colpe.
La situazione di Gesù è allora quella prefigurativa del Servo Sofferente di Yhavè di cui alla prima Lettura di oggi, cioè quella dell'agnello condotto al macello di fronte all'ignominia e al disprezzo degli uomini, che subisce l'insulto e lo sputo... Egli è il Verbo di Dio che nonostante la sua divinità ha spogliato se stesso (Fil 2, 1-6), privandosi di ogni garanzia di grandezza al fine di rendersi solidale con l'umanità peccatrice condividendo con essa dolori, pene, precarietà, fatiche, oppressioni, delusioni, frustrazioni... e soprattutto accettando di essere da essa stessa abbandonato al destino crudele di una morte infame. Tutto questo perché tutti gli uomini fossero salvi.
Come afferma anche la Lettera agli Ebrei di cui alla seconda Lettura di oggi, Gesù si mostra misericordioso, servizievole e compassionevole verso l'umanità affranta perché Egli stesso ne ha sperimentato le miserie e le contrarietà.
Nessuno sarà mai pienamente capace di condividere il dolore e patemi degli altri, se non chi li ha vissuti in prima persona; e questa è stata appunto la scelta di Gesù, quella cioè di umiliare se stesso per poter soffrire nella sua carne i più inauditi patimenti materiali e spirituali che uomo possa mai subire.

Se davvero si vuol seguire Gesù, di null'altro ci si deve preoccupare se non su come ci si deve collocare nella logica del servizio e della donazione agli altri fino alla disponibilità di soffrire ed immolarsi per la causa del Regno. Avere di mira degli obiettivi di autoaffermazione e di successo vuol dire invece coltivare degli interessi del tutto egoistici e personali, che non potranno mai trovare approvazione nell'ottica del Vangelo.
La docilità del cristiano consiste infatti in questo: servire il prossimo come Cristo lo ha servito disposti a bere il suo stesso calice e se è il caso ricevere il suo battesimo, senza pretendere ricompensa alcuna; dare senza aspettarsi di ricevere e senza nutrire interesse di essere contraccambiati; ma soprattutto rifuggire sogni ambiziosi e smanie di grandezza.
Certo, Dio non manca di retribuire il premio a ciascuno secondo la propria buona volontà, ma ciò non ci legittima ad avanzare pretese nei suoi riguardi: sarà Egli stesso a retribuire a ciascuno secondo i suoi meriti.

Oltretutto, che cosa sono le posizioni di prestigio e le alte cariche se non delle posizioni in cui si è chiamati con maggiore responsabilità al servizio degli altri? "I capi delle nazioni dominano su di loro... Per voi non sia così". Appunto perché nella logica evangelica chi esercita l'autorità è provato al sacrificio e alla dedizione costante nei riguardi dei sudditi, assumendosi un ruolo non indifferente di responsabilità per la tutela del bene comune....

E' assurdo quindi nutrire ambizioni di successo in tutti i casi, e specialmente quando non si è all'altezza delle mete che si vogliono perseguire. E altrettanto assurdo e illogico è provare invidia per le posizioni di rilievo acquisite dagli altri, come avviene non di rado in qualsiasi ambito della vita professionale o altri luoghi, ivi comprese le realtà stesse della Chiesa e della comunità parrocchiale quando non ci si contenta del ruolo che si ricopre e si ambiscono posizioni occupate da altri. Nella logica del servizio, si impone che ognuno svolga con entusiasmo e spirito di dedizione il compito che gli è stato affidato riconoscendolo quale missione di provenienza divina, mettendo a frutto il proprio zelo e la propria creatività senza nulla aspettarsi e senza nulla pretendere, facendo anzi nella misura del possibile qualcosa di più rispetto a quello che si chiede senza nutrire atteggiamenti di rabbia e di ostilità nel constatare la negligenza degli altri, e confidando solo nella ricompensa certissima del Signore. Nel servizio quindi il nostro beneficio spirituale.

LA PAROLA SI FA'VITA
Spunti per la riflessione

--Con quale spirito affronto il mio lavoro professionale o casalingo?

--Nel mio mestiere (o nello studio) nutro interesse anche indiretto per gli altri?

--Come cosidero le immancabili difficoltà che il mio ruolo comporta?

--Come reagisco quando mi si chiede di fare qualcosa che non spetta a me?