Omelia (27-07-2003) |
don Romeo Maggioni |
"C'è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci" Gesù - leggevamo nel vangelo di domenica scorsa - aveva parlato con tanto fascino che quel giorno la folla lo aveva seguito fino a sera tarda, senza pensare né al cibo né a un riparo per la notte. Ed erano nel deserto. Gesù li aveva portati a quel punto per compiere un SEGNO capace di far fare scelte di fede precise nei suoi confronti. Un segno - quello della moltiplicazione dei pani - che in tutti e quattro i vangeli segna una svolta nel ministero di Gesù. Un segno cui anche oggi la Chiesa vuol dare importanza per noi. Per cinque domeniche di fila vi mediteremo sopra seguendo il vangelo di Giovanni che di questo segno, non capito dalla folla, farà una analisi minuziosa e una spiegazione davvero straordinarie. Vediamo oggi il fatto, l'intenzione di Gesù e quindi il suo valore di segno, e l'incomprensione della folla. 1) IL SEGNO Più che il fatto in sé, sono le sottolineature e i particolari del racconto che ne orientano l'interpretazione. Anzitutto è Gesù che s'accorge della situazione e prende l'iniziativa: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". Suscita il problema, ma per far cogliere l'impossibilità a risolverlo coi soli mezzi umani: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". Anche il piccolo apporto del ragazzo - cinque pani e due pesci - è cosa del tutto insignificante per sfamare tutti: "Ma che cos'è questo per tanta gente?". Chiaramente una situazione di inadeguatezza, di insufficienza: di fronte al bisogno, alla fame di tanta folla, non c'è risposta di possibilità umana! Naturalmente tutto è riletto e sentito in chiave allegorica. La fame e il bisogno dell'uomo è quello esistenziale e spirituale. Sullo sfondo sta sempre l'immagine di gente che è "come pecore senza pastore", e, di fronte, la compassione di Gesù. L'insufficienza umana quindi è quella di non saper dare risposte piene ai bisogni del cuore e della mente circa il senso del vivere e del morire, del proprio futuro destino e della vicenda del mondo. Come diceva il profeta Amos, in sostanza "non è fame di pane o sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore" (Am 8,11). Ed è Gesù, la sua iniziativa e la sua opera a risolvere il problema, esattamente come promesso da Dio in una lunga storia di fatti simbolici preparatori: quante volte Dio aveva sfamato il suo popolo nel deserto! La moltiplicazione dei pani alla fine sembra una assemblea liturgica festiva: tutti sono seduti con ordine come a messa, e Gesù "presi i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì"; - si sente chiaramente il linguaggio eucaristico. Anche dei pezzi avanzati se ne fa raccolta, "perché nulla vada perduto", come capita da sempre nella Chiesa per la cura delle ostie consacrate. Chiaramente qui Gesù ha voluto nutrire la folla con cibo materiale ma per dire che è Lui il cibo spirituale e messianico promesso, pronto quindi a dare e a darsi come nutrimento pieno al bisogno umano e divino del cuore dell'uomo. Ll'espressione della folla sembra averlo riconosciuto: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo". Del resto i Giudei attendevano per il tempo messianico il rinnovo del miracolo della manna. 2) L'INCOMPRENSIONE Ma qui sta l'equivoco. Quale Messia si attendeva, e quindi che tipo di Profeta riconosce la folla in questo segno della moltiplicazione dei pani? Il vangelo di oggi si chiude con un colpo di scena inatteso: "Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo". Un Gesù sdegnato e scoraggiato, fugge da tutti scuotendo la testa, dicendo: Non hanno proprio capito niente! Pensano che io sia venuto a riempire loro la pancia, per questo vogliono farmi re! Re esprime forse anche l'aspettativa di un Messia politico, capace di liberare i Giudei dal giogo dei Romani. Gesù un giorno lo dovrà ben dire: "Il mio regno non è di questo mondo" (Gv 18,36). Altra è la mia missione, ben altro è il cibo che io do per sfamare una fame ben più interiore e che solo io, Dio, posso saziare! La gente in sostanza era più interessata al pane che non al Messia che dona il pane! Potremmo anche dire che cercava più il proprio pane che non quello di Gesù. La ricerca di sé, la chiusura nei propri schemi, impedisce di capire e accogliere la rivelazione di Dio, e quindi i suoi sorprendenti e sovrabbondanti doni di vita! Questo capita certamente per chi "vive di solo pane", per chi cioè non vede altri bisogni che quelli materiali, per chi s'abitua a soddisfare se non quelli, facendo tacere ogni altro bisogno e anelito, di verità, di libertà, di apertura a Dio...! Ma capita anche a quanti sono troppo sicuri dei propri schemi religiosi, - come questi Giudei che non sanno leggere il miracolo come l'inveramento del segno della manna, e quindi non sanno riconoscere Gesù come il nuovo Mosè, il Messia. Gesù un giorno lo rimproverò loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane " (Gv 9, 41). E siamo a noi. Quale salvezza, quale cibo noi cerchiamo? Gesù per indicare il suo dono usa il termine VITA! Vita piena, vita divina, perché alla fine porta l'uomo a divenire "simile a Lui", a Dio, a partecipare in pieno alla vita trinitaria. Questo è il destino a cui mira l'opera di Cristo. Questa è la vita che viene a nutrire in noi già da oggi. Ma noi, stimiamo questa vita divina? Non la riteniamo forse qualcosa di astratto, lontano, un di più festivo? Nella concezione cristiana la VITA è una cosa sola, umano-divina al tempo stesso, perché solo nella piena comunione con Dio si realizza la nostra felicità e riuscita! Di fronte a un tale destino, le nostre capacità umane sono insufficienti. Per questo Gesù diceva: "Bisogna che uno nasca di nuovo, dall'acqua e dallo Spirito santo" (Gv 3); e anche: "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita" (Gv 6,53); e ancora: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5). ****** Il punto di tutto è il nostro disinteresse per il dono di Dio; da una parte perché non lo conosciamo bene; dall'altra perché questo dono di Dio è eccedente le nostre stesse attese. "Noi ci saremmo accontentati di tre locali più servizi, mentre Dio ci regala le eterne praterie del cielo". Molto più grande d'ogni nostro desiderio o sogno è il dono di Dio, di qualità ben superiore è il tipo di vita che Lui ci offre, e quindi ben più saziante è il cibo che ci è dato. Se sazia il cuore, ne dilata anche le dimensioni verso ricchezze divine ed eterne. Abbandoniamoci all'avventura di Dio che - come ben sappiamo - VEDE E VUOLE IL MIO BENE PIU' DI QUELLO CHE IO NON VEDA E VOGLIA DI ME! |