Omelia (17-08-2003) |
don Romeo Maggioni |
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" Il segno della moltiplicazione dei pani ci ha introdotti a parlare della vita e del cibo; di una vita che non è pura sopravvivenza materiale, ma senso e motivazione del vivere, soluzione dei limiti e speranza per le aspirazioni più grandi che portiamo dentro; e per questa vita più piena - abbiamo detto - non c'è altro cibo se non Dio, e Colui che Egli ha mandato, Gesù Cristo. "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (6,35). A Lui, a Gesù, si va anzitutto attraverso la fede: "In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna" (6,47). Fede che è accoglienza della sua Parola, fiducia nella sua Persona, sequela del suo progetto di vita. Ma oggi viene precisato qualcosa di più: se la fede è adesione del cuore e della volontà, tale adesione è maturata in noi da un contatto speciale con Gesù, che noi chiamiamo sacramentale, espresso dalle parole forti usate da Gesù: mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Cioè attraverso l'incontro eucaristico della messa. In che cosa consiste questo contatto e quali ne sono i frutti? 1) IL CONTENUTO DELL'EUCARISTIA Precisiamo anzitutto i termini "carne e sangue". Vogliono richiamare icasticamente due aspetti della Persona di Gesù: la sua carne significa la sua incarnazione, significa il Dio divenuto carne, uomo, partecipe in pieno della nostra natura e vicenda di uomini. Richiama il mistero di un Dio che s'è fatto uno di noi per farci uno di Lui. Sangue richiama la croce, carne e sangue divisi, cioè una morte violenta, sangue sparso per noi: significa il mistero di questo Dio che dà la vita per la nostra salvezza, a riscatto dal peccato e dalla morte. In sostanza: carne e sangue stanno al posto di Gesù in persona nel suo atto di sacrificarsi in croce per la nostra redenzione. Il contenuto dell'Eucaristia (Corpo e Sangue di Cristo) è Gesù in quanto redentore. Per appropriarci dei frutti di tale gesto salvifico siamo chiamati a questo speciale contatto, del "mangiare e bere", cioè a far nostro qualcosa che riteniamo decisivo per la vita, che assimiliamo come nutrimento, che in qualche modo si trasforma in noi. E' il divino che ci nutre, la "carne di Cristo", cioè la sua persona, che da dentro noi ci assimila alla sua divinità! "Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda", è cioè l'unico alimento che ci divinizza. L'Eucaristia allora, la messa, rende presente tutto il mistero cristiano di salvezza, lo contiene entro quei modesti segni del pane e del vino e ne comunica tutto il frutto nell'atto del nostro accostarci con fede alla comunione. Oltre la fede Gesù ha pensato a questa più concreta comunicazione di Sé: per ben otto volte si insiste su questo dover "mangiare" per avere la vita. "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita". Sono parole solenni, non si possono scavalcare. Dire allora: fede sì, messa no; oppure, credenti sì, ma non praticanti, significa escludere un canale espressamente voluto per il quale giunge a noi la sua salvezza e la sua vita. 2) GLI EFFETTI DELL'EUCARISTIA Ecco: la vita. In connessione col mangiare sta la vita: vita in che senso? Anzitutto in senso molto concreto: questa vita che oggi viviamo e che è bloccata dalla morte, viene recuperata con la risurrezione: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno". "Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno". All'ultima orazione di un funerale diciamo: "Concedi, Signore, a questa persona, che nei giorni della sua vita mortale si è nutrita di questo cibo di immortalità, di partecipare al banchetto eterno imbandito nei cieli". Si parla di risurrezione e di vita perenne. Ma avremo la vita domani solo come risultato di una partecipazione alla vita divina di Cristo che oggi l'Eucaristia alimenta in noi. L'immagine usata da Gesù è quella della vite e dei tralci. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue - è un'altra affermazione di Gesù oggi - dimora in me e io in lui". Questo "dimorare" è un rapporto di partecipazione reale alla natura divina del Figlio Unigenito, divenuto primogenito di molti fratelli, che abilita il nostro stesso essere umano a vivere da figli di Dio. Ma "dimorare" è parola che evoca amicizia e scelta personale: proprio a questa crescita d'intimità mira la comunione che facciamo alla messa. Una intimità che arriva ad un coinvolgimento sempre più pieno, quale esiste tra il Padre e il Figlio stesso. Ecco come si esprime Gesù oggi: "Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me". Gesù vive per la vita che riceve dal Padre, ma anche "per" Lui, cioè tutto rivolto a Lui; così l'effetto dell'Eucaristia è per noi un farci vivere in forza di Gesù, ma anche rivolti a Lui, per Lui, coinvolti con Lui nell'avventura della sua missione di salvatore del mondo. L'Eucaristia, si dice, crea la comunione e fonda la missione. ****** "Come può costui darci la sua carne da mangiare?", obiettano i Giudei. Possibile, diciamo noi, che tutta l'opera di salvezza di Dio si incanali in segni così modesti come è questo pane e questo vino che sta sull'altare della messa? E' inutile discutere la pedagogia di Dio. Sono i fatti che contano. Se non sempre si può dire che chi fa la comunione tutti i giorni è santo, si deve dire che il santo nasce sempre dalla comunione. Ha detto Gesù: "Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv 15,4-5). |