Omelia (07-09-2003) |
mons. Antonio Riboldi |
"TANTE PAROLE...SENZA LA PAROLA" Suscita a volte lo stupore, recandosi nei monasteri di clausura, vedere donne, uomini, che, scelti per questo da Dio, fanno della loro vita un contino silenzio, interrotto solo dalla preghiera. Il loro non è un silenzio vuoto di sostanza, ma è il diventare sordi e muti di fronte alle troppe parole del mondo che, troppe volte, sono un vuoto di sapienza, quando non sono un inganno per l'anima. Ospite di un Convento di clausura che aveva annesso anche l'eremo, chiesi un giorno di poter passare un piccolo tempo anch'io in una stanza dell'eremo. Mi fu affidata una cella. Ogni eremita doveva essere sufficiente in tutto, dal fare cucina ad assettare la propria abitazione. Insomma vivere da solo, in totale silenzio, come se il mondo non avesse voce ed affidarsi solo all'ascolto della Parola di Dio. Confesso che era duro per la mia abitudine di parlare agli uomini, ossia, pure facendomi servo della Parola, passare ore in compagnia della preghiera e della Parola di Dio. Lentamente mi lasciai afferrare da quel silenzio e si fece spazio una grande luce come se la Parola diventasse "lampada i miei passi". Tante volte sentiamo parlare, nelle nostre comunità cristiane, di bisogno di "deserto", ossia di uscire dal frastuono del mondo dove molte volte è difficile sentire la bellezza della verità. Quando mi reco in Terra Santa, "fare deserto" è una tappa stupenda del pellegrinaggio. Scendendo da Gerusalemme a Gerico, prendendo la via che attraversa il deserto di Giuda, si incontra ad un certo punto una deviazione che porta ad una specie di oasi, dove ha sede anche un monastero a fondo valle. Sempre invito i pellegrini a passare una mattinata in quel luogo. Lì non arriva alcun rumore. Ti senti solo con te stesso e con la Parola di Dio e la preghiera. E' come se riacquistassi la saggezza e la bellezza che viene dalla verità, che non ama il frastuono, ma vuole libertà. Quante volte siamo costretti a sentire parole che a volte infastidiscono. Il mondo oggi ha moltiplicato i "canali della parola": basta pensare ai mezzi di comunicazione. Ma alla fine cosa dicono alla nostra anima che ha sete di verità? Nulla. E tante volte ancora peggio, sono parole che contengono errori tali, che ci portano lontano dalla verità e quindi da Dio. Il male è che ci facciamo incantare da queste parole che sono veleno, perché diventano convinzioni, stile di vita e quindi buio fitto per l'anima che ha bisogno di luce, tanta luce. Quante persone, mamme incontro che, con un dolore immenso, mi pregano di parlare ai loro figli! "Mio figlio era un bravo ragazzo: uno di quelli che viveva di famiglia e di chiesa, – mi confidava piangendo una mamma – Poi, non so come ha incontrato amici che lo hanno ingannato e portato a vie senza ritorno. Ho paura di perderlo mio figlio. Ma quando gli parlo con tutto il cuore di mamma che vuole solo il bene del figlio ed il bene è nella verità, lui non solo non mi ascolta, ma si arrabbia come di fronte ad un fastidio. Ora mio figlio è tossicodipendente ed è come un "sordomuto". Che dolore! Un'altra persona, giovane, dopo una conferenza mi chiese un istante a tu per tu. Ho solo vent'anni, mi diceva. Sognavo una vita stupenda, fondata sulla gioia, la speranza. Guardavo al futuro come una meravigliosa corsa verso l'alto. Poi mi sono smarrita. Ora mi sento vuota: nel buio più assoluto del cuore e della mente, come se nessuno avesse più cura di me, nessuno avesse parole di vita per me, in un mondo che parla e ti abbandona indifferente alla tua sofferenza, sul marciapiede del dolore e della dannazione. Stasera finalmente ho risentito dalle sue parole, che sono la Parola del Padre, che c'è ancora spazio per i miei sogni di vita..purché apra le mie orecchie alla verità. Non è facile, mi aiuti. Quel dialogo è continuato poi con queste riflessioni su internet, con le e-mail ed ora quella giovane è tornata a vivere. Il Vangelo di oggi ci parla della guarigione del sordomuto. Un uomo senza udito e senza parola. "Gesù di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea, in pieno territorio della Decapoli. Gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte, lontana dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua: guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: "Effetà" cioè "apriti". E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Comandò di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti." (Mc. 7,31-37). Anzitutto troviamo Gesù in un luogo che non faceva parte della terra di Israele, quindi quanti vanno da Gesù non erano ebrei. Gesù non fa distinzione e li accoglie, li ascolta. In loro scorgo tanta gente che dice di non essere di Cristo, ma in fondo nel momento della compassione di fronte al dolore, non teme di farsi voce di chi soffre e va da Chi può, ossia Dio. Potremmo essere noi, anche se a volte diciamo di credere poco, quelli che si fanno amici e voce di chi ha bisogno di guarigione. Trattandosi di dare voce a chi non ha voce e udito a chi non riesce a sentire perché sordo, Gesù fa un gesto inaspettato. Si allontana dalla folla che rappresenta molte volte il vociare senza verità e speranza e si mette in disparte, Lui e il sordomuto, in un incontro che ha il sapore del tu a tu con Dio, fuori dal chiasso. E' proprio in questa atmosfera di silenzio di deserto che Gesù opera..ieri..oggi. Solo se anche noi sappiamo seguirLo lontano dalla folla. L'evangelista Marco ci mette al centro della scena messianica, registrando tutto ciò che è avvenuto, ma proprio tutto. Un evento che sembra la mano del Padre calata sulla miseria dell'uomo. Colpisce quel suo guardare il cielo come a mettersi in comunione con il Padre, e quel "sospiro", che tanto somiglia all'alito che Dio infuse in noi nel momento della creazione, un alito che è la vita divina comunicataci: un alito che si è come smarrito con il peccato originale. Quindi compie quei gesti che anche noi compiamo nel momento del Battesimo, quando rinasciamo a vita nuova: ossia toccando le orecchie del bambino diciamo "effetà", "apriti!" e quindi leggermente con la saliva sfioriamo la bocca dei battezzati. Ed è tanta la gioia del sordomuto nell'acquistare udito e parole che, subito, ne dà un saggio, proclamando le meraviglie di Dio, nonostante Gesù glielo avesse impedito. Dovremmo tutti noi, rinati nel Battesimo, coltivare con la Parola di Dio l'udito e quindi proclamare la gioia che è nel Vangelo della speranza. Viene da chiedersi come mai allora tanti di noi davanti a Dio siamo diventati sordomuti? Così descrive il S. Padre la nostra situazione: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". La troverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? E' un interrogativo aperto che indica con lucidità la profondità e la drammaticità di una delle sfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare. Si può dire che tale sfida consiste spesso non tanto nel battezzare i nuovi convertiti, ma nel condurre i battezzati a convertirsi a Cristo nel Vangelo. ( EinE.n.47) Mons. Antonio Riboldi - Vescovo - E-Mail: riboldi@tin.it Internet: www.vescovoriboldi.it |