Omelia (01-11-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Chiamati dal Santo alla santità I cherubini schierati l'uno di fronte all'altro in Is 6, 1-10 esaltano la gloria di Dio che abbraccia l'intero universo, ne cantano le lodi e lo proclamano "Santo, santo, santo". Questa espressione, che fra l'altro rende anche l'idea della Trinità, sottolinea con forza che unico ad essere Santo in quanto Signore della gloria e giudice universale degli uomini (Is 1,4) è il solo Dio Onnipotente e la sua grandezza non è compatibile con la finitudine umana (Sir 18, 1-4). Egli è il Santo perché perfetto e ineffabile, unico che possieda tutte le fattezze di impeccabilità e magnificenza. Santità vuol dire infatti perfezione assoluta; e chi può vantare un tale attributo se non il Creatore e Legislatore dell'universo? E chi si può assumere come modello esaustivo di perfezione se non Colui che è la somma di tutte le perfezioni? Dio solo è Santo. Tuttavia sia pure nella Sua gloria onnipotenza, il Dio cristiano è ben lungi dal trattenere esclusivamente per sé ogni sua caratteristica, e ne fa' oggetto di condivisione a tutte le creature, condividendola in particolar modo con l'uomo. In altre parole, Dio ci rende partecipi della Sua gloria, della sua grandezza e finalmente... della Sua Santità. Anzi, la santità è garanzia di salvezza per l'uomo in quanto ci vincola in modo tutto speciale a Dio, rendendoci simili a Lui. Non per niente lo stesso Signore ci rivolge l'esortazione: "Siate santi, perché io il Signore vostro Dio sono Santo" (Lv 19,2)non per niente il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dommatica Lumen Gentium sulla Chiesa sottolinea con forza che la santità è la vocazione universale di tutti i battezzati: prescindendo dal suo stato vocazionale specifico, ogni cristiano perché rivestito del Battesimo è chiamato alla santità. I santi non sono dunque solamente coloro che molte volte potrebbero essere visionati come persone fuori dal comune a motivo di una particolare eroicità che li ha trovati degni degli altari; secondo la volontà di Dio ribadita espressamente dalla Chiesa, santi siamo chiamati ad esserlo tutti. Ma non è solo attraverso le esortazioni scritturali che Dio ci rivolge un tale invito. Perché potessimo trovare sprone e avvalerci di un autentico modello di vita nel cammino verso la perfezione, Egli ci ha inviato il suo Figlio Gesù Cristo che, condividendo la nostra natura umana nelle sue limitatezze e difficoltà ha mostrato nella sua vita terrena che la realizzazione della volontà di Dio non è impossibile. Nelle sue parole, nei suoi atti d'amore verso i poveri, gli sfiduciati, gli esclusi e soprattutto nella sua immolazione Cristo si mostra infatti modello primario di santità e a buon diritto ci rivolge la medesima esortazione levitica: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli" (Mt E chi sono quelli che noi veneriamo sugli altari se non coloro che nel corso della loro vita hanno imitato in tutto e per tutto l'esempio del Signore Gesù Cristo sia nei rapporti con Dio, sia con se stessi, sia verso il prossimo? Non ci soffermiamo qui sulla legittimità del culto delle icone e immagini che oggi li rappresentano (rimandando tuttavia a tale scopo al nostro file "Culto delle icone: la Bibbia non lo vieta" su www.qumran2.net ); ci basta solo affermare che la nostra attenzione è rivolta a loro in quanto "a ciò predestinati, si sono resi conformi all'immagine del Figlio di Dio" (Rm 8,29). La prima lettura di oggi ce li descrive rivestiti di "vesti candide del sangue dell'Agnello dopo aver affondato la grande tribolazione e avendo ottenuto il divino sigillo", e per ciò stesso non possono che costituire un incentivo per noi nella realizzazione della nostra santità. Certamente, essere perfetti secondo la volontà di Dio non è cosa da poco: la fragilità umana ci espone alle tentazioni e alle miserie morali e le occasioni di peccato e di manchevolezza non sono affatto rare. Né si può pretendere che il cammino verso la santità possa risolversi da un giorno all'altro senza incontrare occasioni di frustrazione, crisi o fallimento; e soprattutto non si può omettere che il cammino verso la perfezione comporterà l'assillo delle derisioni e delle umiliazioni. Dice la Scrittura: "Se servi il Signore, preparati alla tentazione". Ciò tuttavia non deve incuterci scoraggiamento di sorta, né sensi di smarrimento o di indegnità al presenziare delle immancabili cadute e neppure di fronte alle occasioni di peccato, sebbene questo vada alienato dalla nostra vita: la grazia del Signore accompagna di buon grado l'uomo ben disposto alla relazione familiare con Dio e alla proposta di se stesso agli altri secondo i criteri della carità evangelica. Nella preghiera e nella mortificazione la Chiesa ci offre degli interessanti coefficienti validi affinché noi si possa procedere con speditezza nel cammino verso la santità. Ma un ausilio importante ci deriva anche dalla pagina del discorso della montagna di cui alla pagina del Vangelo di oggi: "Beati i poveri... Beati i miti... Beati i perseguitati... Ciascuna di codeste beatitudini costituisce la motivazione e fonda la ricompensa per chiunque si disponga ad atteggiarsi secondo la virtù o il comportamento indicato. Nell'insieme le beatitudini, lungi dall'essere un imperativo categorico comunicano al cristiano la proposta di un preciso programma di vita per il quale il credente è beato (cioè bravo) per il fatto stesso che, sia pure nelle lotte e nelle vicissitudini, vive eroicamente quanto gli è suggerito e trova la garanzia della ricompensa nel Regno di Dio al presente e al futuro. Lo spirito delle beatitudini dovrebbe essere l'unico a fondare e motivare le azioni del vissuto quotidiano ed è una lacuna da parte della nostra catechesi insistere sul concetto di comandamento per orientare il popolo di Dio verso la conoscenza del suo volere: non che si debba misconoscere la dottrina del Catechismo della Chiesa intorno ai Comandamenti, tuttavia piuttosto che dall'idea delle imposizioni e degli obblighi deterministici è a partire-appunto- dal concetto di beatitudine che è possibile riscoprire la positività del nostro atteggiamento di fedeltà a Dio. Un'ultima riflessione che ci sovviene intorno alla nostra vocazione alla santità è la seguente: il fatto che Dio in Cristo ci inviti ad essere perfetti come Lui equivale ad affermare che nella Sua misericordia Egli vuole la nostra salvezza come quella di tutte le genti. 144.000 non è -come affermano i TdG- il numero costitutivo della sola classe degli unti destinati a regnare in cielo, alternativo a quello delle altre pecore che vivranno la dimensione paradisiaca di questo mondo rinnovato dopo la stage finale che risparmierà soltanto loro uccidendo tutti gli altri (i non geovisti); piuttosto si tratta di un numero simbolico atto ad indicare che coloro che sono destinati alla salvezza costituiscono un numero incalcolabile di persone, vale a dire le dodici tribù del popolo di Israele più tutti coloro che formeranno il Nuovo Israele cioè i credenti in Cristo, rappresentati con il numero 1000 simbolo di infinità numerica (12 x 12 x 1000 = 144.000). La salvezza è destinata insomma a tutti e in Cristo tutti possono raggiungerla. La via della salvezza è la santità. LA PAROLA SI FA' VITA Spunti per la riflessione --Come immagino IO la vita dei Santi che conosco? --Considerando l'attualità del mio quotidiano, come posso realizzare l'ideale della perfezione evangelica? --Che atteggiamento assumo nel contemplare le statue o le icone dei Santi? --Conoscendo la vita di un Santo, quali sono le virtù che vorrei poter imitare? --Esercizio: rileggere la vita del Santo (o dei Santi) a cui sono maggiormente devoto e discernere IN CHE COSA questi praticano il vangelo. |