Omelia (21-09-2003) |
don Roberto Rossi |
Non per essere servito, ma per servire Nel vangelo di oggi abbiamo un annuncio della passione di Gesù. Gesù prepara così i suoi discepoli a non scandalizzarsi della croce, ma a capire che essa sarà la salvezza per il mondo. Ma i discepoli non comprendono, non chiedono spiegazioni (forse per paura che vengano smentite le loro aspettative terrene), discutono tra loro chi sarà il più grande. Sono ancora molto lontani dal pensiero e dal modo di vivere di Gesù. Devono convertirsi, cambiare mentalità, aprirsi alla nuova impostazione di Gesù. E Lui, come maestro, li chiama e dà loro questo insegnamento: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". Ultimo (non per falsa umiltà), ma "ultimo" e "servo" di tutti, cioè uno che fa il più possibile per gli altri. Insegna anche a noi che dobbiamo metterci a servizio, con le opere, la fatica, i lavori umili, quei lavori che nessuno vorrebbe fare (in casa, in ufficio, nel luogo di lavoro, nella comunità cristiana). Comportarsi così non vuol dire essere stupidi, come qualcuno pensa, ma significa amare, aiutare, essere sensibili e realizzare la grandezza e la ricchezza del cuore, che sono molto più importanti della grandezza esterna e della ricchezza materiale. Un esempio di questo sono le mamme e i papà, i quali nella famiglia, fanno il più possibile per i figli, per amore; possono essere i consacrati, sacerdoti e suore, che intendono spendere la vita per il vero bene delle anime; sono tutti coloro che vivono gesti di amore, di sacrificio, di volontariato per il bene di chi ha bisogno. Questa è vera grandezza e questa è la vera gioia del cuore. Siamo invitati tutti a vivere il servizio, a metterci a servizio degli altri, e non solo quando è piacevole, ma anche quando comporta sacrificio, incomprensioni, delusioni, critiche. Noi dobbiamo vivere il servizio, sull'esempio di Gesù, il quale ha detto: "Sono venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per la salvezza di tutti". Anche noi siamo nella Chiesa, nella comunità cristiana, non per essere serviti, ma per servire. Mi devo chiedere: come sono a servizio? Aiuto gli altri? Aiuto la parrocchia? Cosa faccio in concreto? Oppure mi aspetto sempre dagli altri, cioè mi faccio servire? Nella preghiera spesso chiediamo a Gesù: "aiutami". E Gesù dice a ciascuno di noi la stessa cosa: "Aiutami". Nella misura in cui aiutiamo Gesù per il suo regno, noi veniamo aiutati da lui e senz'altro abbiamo quelle grazie e quella forza che ci sono necessarie nei problemi della nostra vita e della vita dei nostri cari. Gesù non ci fa le grazie per renderci pigri e svogliati, ma ci chiede di essere generosi con tutti e buoni nel cuore: la sua ricompensa sarà immensamente grande. Gesù prese un bambino e disse: "Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, accoglie il Padre". In un'altra occasione aveva detto: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli". Il bambino esprime tanti sentimenti evangelici: è innocente, mite, ingenuo, affettuoso, spontaneo, non è formalista, non è calcolatore, è disponibile a imparare, si affida completamente a suo padre e a sua madre, esprime gratuità. Il bambino è speranza nell'umanità, è gioia nella famiglia, è l'immagine di quello che tutti vorremmo essere. Noi vediamo in lui tutto quello che nel mondo c'è di bello, di buono, di santo. Ecco perché Gesù lo presenta come modello e ci invita ad accogliere i piccoli. Con la parola "piccoli" si intendono sia i bambini, sia i poveri: in essi è presente Gesù. "Qualunque cosa avete fatto a uno di questi piccoli, l'avete fatta a Me": quando noi ci mettiamo a servizio dei poveri, in essi aiutiamo Gesù; e questo è il modo più sicuro per meritare il paradiso. |