Omelia (08-01-2008) |
Paolo Curtaz |
Come i magi, cercatori di verità, abbiamo riconosciuto nel bambino di Nazareth lo sguardo di Dio e, tornando per un'altra strada alle nostre quotidianità, siamo chiamati ad annunciarlo, nonostante le nostre fragilità. Se abbiamo contemplato il suo volto nel Natale, se lo abbiamo riconosciuto nell'Epifania è proprio per potere raccontare il suo volto ai tanti che - intorno a noi - vivono nella dimenticanza di sé e di Dio. La gente ha fame, amici, non ve ne accorgete? E crede di saziare il proprio cuore col lavoro, con il benessere, con gli affetti. Tutte cose buone ma che - ahimé - non saziano il cuore, non lo riempiono. Dio solo può colmare il nostro bisogno di senso, la nostra nostalgia profonda. Ma ha bisogno di noi, della nostra generosità. Vorrei fermarmi oggi proprio su quel gesto, ingenuo all'apparenza, degli apostoli che, titubanti, offrono a Gesù la propria merenda. E avviene l'impossibile, come sappiamo. C'è un momento, nella nostra storia, in cui Gesù chiede la fede, di fidarsi, di credergli, di dare del nostro. Sarà poi lui a fare il miracolo. Sarà lui a sfamare noi e gli altri, sarà lui a moltiplicare all'infinito la nostra tiepida apertura di cuore. Ma la chiede. Gesù vuole il nostro poco, la nostra partecipazione. Lui, Dio ci tratta da pari e senza il nostro piccolo gesto di assenso non si muove. Il Signore chiede per la prima volta ai suoi discepoli di mettersi in gioco, finalmente. Abbandonatevi, amici, osate rischiare, finalmente, osate credere, date il poco che siete: sarà un miracolo, credetemi. |