Omelia (17-01-2008)
Paolo Curtaz


Antonio è considerato uno dei padri del monachesimo: ritiratosi nel deserto della Tebaide, attraverso una vita di ascesi e di preghiera diventò un faro per il cristianesimo dei primi secoli.

Gesù chiede al lebbroso di tenere nascosto lo straordinario miracolo che ha appena compiuto. Gesù è diffidente verso la devozione suscitata dai miracoli: sa che troppe ambiguità nascono da un miracolo che non sia la conseguenza e il segno di una conversione. Come dargli torto? Quante - troppe - volte cerchiamo Dio per ciò che dona, lo invochiamo per ottenere favori, lo usiamo come un simil-talismano, A volte questo è un segno di fede, di disperazione e di invocazione ma - e credetemi, l'ho sperimentato sulla mia pelle - troppe volte Dio viene invocato invano: per chiedere i numeri del lotto, o per farmi trovare la ragazza! Questo atteggiamento ha un'idea di base: io che chiedo so benissimo ciò di cui necessito; Dio me lo può accordare, quindi, mannaggia a lui, lo invoco finché non riesco a convincerlo a guardare in basso ed esaudirmi. È davvero un padre il Dio cui ci rivolgiamo? O non, piuttosto, una specie di despota capriccioso da sedurre? Io non so se ciò che sto chiedendo sia davvero il mio bene. No, non so se, una vola ottenuto, ciò che ho chiesto davvero mi darà felicità. Certo, la strada del prodigio è una facile scorciatoia, ma non produce una reale conversione. Più spesso, purtroppo, non fa' che de-responsabilizzarmi, affidando a Dio ciò che, magari, potrei fare io. Gesù teme il miracolo, teme di essere incompreso, di passare per stregone, teme il giudizio della folla. Chiediamo il miracolo, amici, ma il miracolo della conversione, il prodigio del cambiamento, il cambiamento del cuore.