Omelia (08-02-2008) |
Paolo Curtaz |
La pratica del digiuno è - purtroppo - una pratica dimenticata e guardata con un certo sospetto dal nostro mondo incapace di rinunce. Probabilmente la ragione consiste proprio nel non vedere la ragione ultima di una rinuncia come il cibo. Eppure il digiuno, in tutte le religioni, ha un valore profondo, valore di rimando all'essenziale oltre che - come hanno scoperto in tempi recenti le scienze mediche - di purificazione dell'organismo e di alleggerimento della mente. Il vangelo di oggi ci richiama al senso cristiano del digiuno che è quello dell'attesa dello sposo, di una visione nuziale della quaresima, come tensione al ritorno nella gloria del Signore Risorto. La vicinanza con altre culture, come quella islamica e il rigidissimo digiuno del Ramadan ci richiama al valore della condivisione di questo gesto: anche il sultano del Barhein per un mese sperimenta la sofferenza del mendicante. Il digiuno cristiano, nei nostri tempi, ha assunto forme diverse, non necessariamente legate al cibo. Il venerdì, giorno di memoria della passione del Signore, può essere giorno di digiuno dalla televisione per stare a giocare con i figli o per leggere un buon libro, propongo sempre alle coppie di dedicarsi una sera a settimana a fare i fidanzatini, digiunando dall'abitudine e così via. Anche un'attenzione al cibo, una rinuncia per rimarcare che non è lo stomaco o la linea a comandare la nostra vita, può essere un modo per sottolineare l'essenziale. L'importante, amici, è lo stile, il richiamo, la tensione verso lo sposo. |