Omelia (15-02-2008) |
Paolo Curtaz |
Gesù, nuovo Mosé, sale sulle colline che attorniano il lago di Tiberiade, come sul Sinai, e consegna la nuova alleanza al suo popolo: con autorevolezza inattesa e scandalosa si permette di riprendere alcuni degli intoccabili precetti che regolavano la vita del pio israelita e di correggerli, cioè di riportarli al loro significato originale. Così, nel minuzioso calcolo del rapporto con i fratelli, la violenza che veniva gestita da norme precisa viene capovolta: può essere mortale anche una parola o un giudizio e di questo si deve rendere conto. Ah, Signore!, era così comodo poter apparire dinnanzi a te con la coscienza a posto! Chi di noi può dire di non avere mai giudicato il fratello? Chi di non avere pensato male della collega di lavoro? Gesù ribalta la prospettiva, trascina la legge nell'infido terreno della misericordia e ci obbliga a superare la giustizia degli scribi e dei farisei andando al cuore dei problemi, non all'apparenza legale. Il colpo di grazia, però, ci arriva da quella sconcertante conclusione: la nostra preghiera, la nostra devozione è inutile se non è prima riconciliata col fratello. Gesù dice di deporre l'offerta e riconciliarci col fratello che ce l'ha con me: non prevede neppure che io ce l'abbia con qualcuno! Obiettivo difficile, quello che ci chiede il Signore, ma possiamo diventare figli del perdono e della riconciliazione poiché perdonati e riconciliati nel profondo, siamo capaci del gesto inaudito e profetico non per un nostro sforzo - come pensavano i farisei - ma come contagio di un dono ricevuto. |