Omelia (16-02-2008)
Paolo Curtaz


Siamo chiamati, amici, a superare la giustizia degli scribi e dei farisei: Gesù ci chiede di amare i nostri nemici e di pregare per loro. Una richiesta perlomeno sconcertante, che nasce da un interrogativo provocatorio che pone Gesù: cosa facciamo di straordinario se ci mettiamo ad amare le persone che ci amano? Lo fanno tutti! Il cristiano è chiamato a superare la logica del dare e del ricevere, la logica della spontaneità, della sensazione, della simpatia, per approdare alla logica ben più radicale del Vangelo. Amare i nemici non è semplice. Ricordo la preghiera di un'anziana signora in una favelas del Brasile, a cui gli squadroni della morte avevano torturato e ucciso due figli sindacalisti; diceva: «Signore fammi vendetta, converti il cuore di coloro che hanno assassinato i miei figli». Anche se contraria alla logica di questo mondo, la logica del Regno di Dio ci porta ad imitare il padre buono nella sua straordinarietà, sapendo che il gesto profetico può piegare la durezza del cuore, come il gesto di don Tito Brandsma, domenicano olandese ucciso con un'iniezione di acido in un campo di sterminio nazista che - mentre tendeva il braccio all'infermiera - trovò la forza di dirle: «Lei dev'essere molto triste». Sarà proprio questa donna, sconvolta dalla frase di quel frate, a testimoniare alla sua causa di beatificazione dicendo: «Tutti i prigionieri mi insultavano, si disperavano, quell'uomo, invece, si preoccupava per me, mentre lo stavo uccidendo». Logica paradossale, logica del vangelo.