Omelia (26-02-2008)
Paolo Curtaz


Conosco un sacco di gente che considera il perdono una debolezza infamante e mi capita di assistere - in televisione - a dibattiti poco edificanti sulla necessità della punizione nei confronti di chi ha sbagliato. Stiamo scivolando in una inquietante modernità moralista e bacchettona: rimosso Dio e la morale, ci resta il giustizialismo e il gossip. Il mondo, all'apparenza libero e liberale, diventa schiavo del giudizio e della violenza verbale. Il perdono è e resta sconcertante prerogativa cristiana, che contrasta radicalmente col nostro istinto vendicativo. Non si perdona perché migliori di chi ci ha fatto un torto, né si perdona perché l'altro cambi, si perdona perché, a nostra volta, siamo stati immensamente perdonati; si perdona per convertire il proprio cuore. Prendere consapevolezza dello squilibrio che c'è fra l'amore e il perdono di Dio ci rende capaci di diventare uomini e donne che sanno perdonare perché il cuore è colmo di pace. Certo può essere difficile, le ferite dell'inconscio restano, ma dobbiamo distinguere l'emozione dalla volontà. Ci sono situazioni e dolori che non riesco a dimenticare, ma il perdono non comporta un'amnesia, e vedendo la persona che mi ha ferito sono turbato; ma non importa: io voglio perdonare, è a me che serve, non all'altra persona, io voglio perdonare per potere andare avanti nella vita. La quaresima è il tempo ideale per chiedere e ricevere perdono: cerchiamo, oggi, di individuare qualcuno da perdonare, e portiamolo nella preghiera...