Omelia (27-02-2008)
Paolo Curtaz


Gesù non è venuto a cambiare una virgola dell'alleanza con Israele, ma la porta a compimento. Permettetemi oggi, allora, di parlarvi dei nostri fratelli maggiori, del popolo di Israele, a cui Dio ha promesso la fedeltà nei secoli (loro ce l'hanno fatta, noi vedremo...). Lo dico perché conosco un sacco di cristiani (non voi, gli altri) che vivono la loro fede come se esistesse solo il Nuovo Testamento. Non scordiamoci mai che la prima comunità era composta esclusivamente da ebrei e che, almeno per i primi decenni, i discepoli del Nazareno vennero considerati come una delle scuole di pensiero del giudaismo. Poi la piccola comunità divenne portatrice di un messaggio, il Vangelo, che dilagò nell'Impero romano, e le incomprensioni con i fratelli ebrei aumentarono. Accusati di non avere riconosciuto il Messia, i Giudei subirono, accanto al disprezzo dei popoli occidentali basato sul più bieco razzismo, una latente disapprovazione da parte dei fratelli cristiani. Il resto è storia: se la Shoà e la tragedia del nazismo - ideologia pagana anticristiana - non coinvolgono direttamente la fede cristiana, bisogna però ammettere che il clima di avversione verso i fratelli ebrei era in gran parte debitore di una posizione cristiana. La storia è dura da cancellare, ma i passi di riavvicinamento e di rispetto verso i nostri fratelli maggiori si sono moltiplicati sotto il luminoso pontificato di Giovanni Paolo. A noi l'onere e la gioia di leggere, di conoscere e di stimare quanto detto e scritto dai nostri fratelli ebrei, depositari dell'alleanza e della promessa irrevocabile fatta dal loro e nostro Dio.