Omelia (21-03-2008)
Paolo Curtaz


Primavera di sangue, quella che celebriamo. Tutto tace, il cielo si è fatto scuro, sulla cava di pietra in disuso, appeso, Dio muore. Senza sostegno, senza compassione, senza angeli sonanti, senza trombe e liturgie, Dio, nudo, muore. Muore come muore ogni uomo, solo, spaventato, rassegnato. Muore come muoiono i bambini che non diventeranno mai adulti e non conosceranno mai le gioie dell'amore, muore come muore la folla dei disperati di ogni epoca, per cui la morte diventa l'unico e definitivo gesto di consolazione e di bene. Muore, Dio. Muore per misurare il suo amore, muore per sapere, per conoscere ciò che l'illimitato non può conoscere: il limite. Muore perché totalmente e definitivamente schierato, alleato, complice, sposo. Muore, Dio, e morendo spacca in due la morte, la fa esplodere, poiché la morte non è capace di Dio e Dio non è capace di morte. Muore, Dio, e noi, sparuti e indegni discepoli, fragili e impotenti cani, sediamo nelle nostre chiese spoglie, svuotate di ogni ridondanza, di ogni eccesso, di ogni devozione e fissiamo lo sguardo sull'appeso e, come ci fa cantare la liturgia, davanti allo Sconfitto ancora balbettiamo: Dio grande, Dio forte, Dio immortale, abbi pietà di noi.