Omelia (10-04-2008)
Paolo Curtaz


Gesù afferma che nessuno può raggiungerlo se non è attirato dal Padre. Non possiamo avvicinarci al mondo della fede senza esserne attirati dal Padre. È sua l'iniziativa, è Dio che ha piantato nel nostro cuore la nostalgia della sua presenza, l'ansia della pienezza. Rischiamo di vedere la fede come il risultato di uno sforzo: è nostra iniziativa, nostra conquista, nostro merito. Ascolto la Parola, mi metto a pregare, frequento la Messa, ma sono io a condurre il gioco. Chi fa l'esperienza di Dio, invece, ha chiarissima l'impressione che più ci si avvicina alla verità e più i giochi si ribaltono: è Dio a condurre la mia vita e la stessa fede che ho nel cuore e che cresce non è il risultato di uno sforzo ma di un abbandono, di una fiducia che si allarga. La fede, che è anzitutto adesione, coinvolgimento, non è un sottile ragionamento che conduco fino a convincermi, ma un allentare le resistenze finché mi fidi. La fede non è cognizione ma incontro. Agostino, parla dell'essere attirati da Dio con parole dense di poesia: "Ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore è senza risposo finché non dimora in Te". Gesù mette le carte in tavola: questa conoscenza questo incontro è per sempre, è eterno, là dove l'eternità non è una noiosa giornata senza fine, ma uno stato di vita finalmente vissuto in pienezza. Eternità iniziata il giorno del nostro concepimento e che cresce (ma cresce?) fino alla nuova dimensione dopo la morte.