Omelia (09-05-2008) |
Paolo Curtaz |
A conclusione del nostro tempo pasquale, leggiamo oggi lo splendido incontro tra Pietro e Gesù alla fine del vangelo di Giovanni. Il dialogo - conosciuto da molti - è straordinario e sigilla la definitiva amicizia tra Pietro e il suo Maestro. La lingua greca è piena di sottigliezza che la traduzione italiana in parte tradisce. In greco esistono tre modi per indicare l'amore: l'amore di attrazione, erotico, quello di amicizia e l'amore grande, quello ideale, quello legato all'esperienza di Dio. Gesù le prime due volte chiede a Pietro: «Mi ami di amore grande?» e Pietro risponde, sconsolato: «Ti amo di amore di amicizia». Povero Pietro! L'apostolo entusiasta, il focoso, l'irruento, quello disposto a morire per il Maestro, ha misurato il proprio fallimento, il proprio limite e non osa più esporsi, sbilanciarsi. Credeva di amare Gesù di un amore focoso e travolgente, ma nel cortile del Sinedrio una serva ha mostrato l'inconsistenza del suo amore... Per la terza volta Gesù parla. Questa volta è lui che abbassa lui il tiro e chiede a Pietro un amore di amicizia. Pietro tace, è rattristato, è stato Dio a dover abbassare le pretese, e risponde: «Cosa vuoi che ti dica, tu mi conosci, sei tu che misuri il mio amore!» Grande Pietro! A te il Signore ora chiede fedeltà, a te di occuparti dei fratelli, senza sogni smisurati, senza pretese, senza illusioni. Ora potrai davvero essere un buon pastore, non un giudice, perché cosciente del tuo limite... |