Omelia (12-05-2008) |
Paolo Curtaz |
Già ai tempi di Gesù esisteva questo sport: i farisei del vangelo di oggi, che detengono il potere, che sanno di essere secondo il cuore di Dio, che rispettano scrupolosamente la Torah e ogni minuzia, fanno l'esame a Gesù, sono disposti, in teoria, a credere in lui, ma egli deve, perlomeno, fornire un segno. Già, che segno? Cosa desiderano? Non è bastata la moltiplicazione dei pani? Né la guarigione dei lebbrosi o dei ciechi o del paralitico? No, evidentemente, non basterà neppure il grande segno della resurrezione di Lazzaro né l'ultimo, definitivo segno della propria resurrezione: non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. Gesù non da alcun segno, non accetta nessun compromesso, non ci sta, non riconosce questi uomini presuntuosi e infantili come proprio collegio giudicante. Non c'è desiderio in loro, né amore, né curiosità autentica, né, soprattutto, alcuna capacità di mettersi in discussione. La loro supponenza impedisce loro di vedere ciò che davvero fa il Messia, il loro pregiudizio li acceca a tal punto da non riuscire a capire che non è il miracolo fuori che cambierà la loro prospettiva ma solo, eventualmente, la propria disponibilità a mettersi - finalmente! - in discussione. Fidiamoci, discepoli del Signore, noi che abbiamo conosciuto la grandezza e la tenerezza del nostro Dio, nel Signore Gesù, lasciamolo lavorare, evitiamo di metterlo alla sbarra né, tragicamente, di porgli delle condizioni. |