Omelia (16-05-2008) |
Paolo Curtaz |
Ancora sul discorso di Pietro a Cafarnao, al duro rimprovero di Gesù che spiega ai suoi in che modo lui ha scelto di essere Messia... Vediamo se riesco a sintetizzare la logica media del cristiano: Dio è amore, è grande, è splendido, la mia vita è faticosa, la cosa che più temo è la sofferenza, quindi Dio è alieno alla sofferenza (beato lui!) spero mi preservi dal dolore. Discorso che fila via abbastanza liscio, se non per un piccolo particolare: Dio non la pensa così. Ma come, lui può evitare la sofferenza e invece l'abbraccia? Povero Pietro, poveri noi, quando capiremo la terribile semplicità dell'amore di Dio? Quando passeremo dall'idea che la sofferenza è male all'idea che la vita è dono e donare chiede sofferenza? Dio non ama la sofferenza, sia chiaro. Ma - talora - compiamo gesti che comportano una rinuncia, una morte, e la sofferenza diventa allora misura dell'amore. Ecco: il discepolo, come il Maestro, è chiamato ad amare fino a perdersi. Prendere la croce e rinnegare se stessi non diventa un autolesionismo misticheggiante (come spesso è stato proposto!), ma una proposta di vita che contraddice la logica mondana dell'autorealizzarsi. Troppo spesso il nostro mondo propone una sorta di idolatria del sé (fragile e ingenua). Gesù propone di più: realizzi te stesso se la tua vita diventa dono, apertura, accoglienza, il paradosso del ritrovarsi "perdendosi" per gli altri. |