Omelia (19-05-2008) |
Paolo Curtaz |
Gli apostoli si sono un po' montati la testa; d'altronde - che diamine! - è da tempo che seguono il Maestro Gesù, hanno visto come opera, sono in grado di imitarne, più o meno, i gesti e le parole. Assistiamo, oggi, alla peggiore delle figure narrate dagli evangelisti (Criterio di verità dei Vangeli: voi scrivereste un libro di fantasia in cui fate una pessima figura?): gli apostoli, contattati da questo povero padre di famiglia, pensano di non avere bisogno di disturbare il Signore Gesù, e giocano a fare i guaritori. La misura del loro doppio fallimento - di fronte a questo pover'uomo e rispetto a Gesù - è bene evidenziata da Marco. La ragione del loro fallimento, spiega alla fine Gesù, sta nell'assenza di coinvolgimento degli apostoli; la guarigione è frutto di una lotta contro il male, richiede sacrificio e compassione, non si tratta di giocare a fare i maghetti di turno! Guarire gli altri significa condividerne la sofferenza, accettare di patire insieme! Il padre del ragazzo epilettico, però, dona agli apostoli e a noi una lezione memorabile: sollecitato da un Gesù piuttosto alterato dall'accaduto, sentendosi stimolato ad avere più fede, questo pover'uomo formula una delle preghiere più toccanti dell'intero vangelo: «Signore io credo, ma tu sostieni la mia incredulità!». Sì, Signore, tu conosci la misura della nostra fragilità, tu sai la fatica del nostro vivere: abbi misericordia di noi! |