Omelia (28-09-2003) |
Paolo Curtaz |
La logica del Regno "Fra voi non sia così": domenica scorsa il Maestro ci ricordava come tra i fratelli cristiani le relazioni, i rapporti non sono nella logica del mondo. Se è normale al lavoro, nello sport, in politica ambire a successi, primeggiare, anche a scapito degli altri, questa violenza che nasce dentro – come direbbe san Giacomo – è bandita tra i fratelli cristiani. Oggi aggiungiamo una nuova caratteristica del sogno di Dio che è la Chiesa. "Non è dei nostri": quante volte l'ho sentito dire, nei paesi, tra i tifosi, in ambito politico e, ahimé, anche tra le comunità dei discepoli del Signore Gesù. Ho anche visto quanta sofferenza provoca il rimarcare le differenze sociali o il non voler superare le proprie abitudini, ho visto mogli di tradizioni diverse venire poco accettate dai nuovi famigliari, amici stranieri guardati con sospetto, vicini di casa ignorati perché legati a idee politiche distanti dalla mia. "Non è dei nostri": abbiamo bisogno di connotarci, di distinguerci, di essere in qualche modo riconoscibili, anzi, questo bisogno di identità, esasperato, ha portato ancora negli anni recentissimi la nostra Europa nell'incubo etnico della ex-Jugoslavia. Ahimé, questo legittimo bisogno che può e deve esistere anche nelle comunità, e che diventa legittimo senso di orgoglio e appartenenza, storia di una parrocchia e delle sue vicissitudini, senso di famigliarità che ci dona la gioia di essere accolti e riconosciuti in ambito fraterno, può degenerare in una sorta di settarismo che contraddice il vangelo, un settarismo "ad intra", nella comunità cristiana stessa. Negli ultimi decenni lo Spirito Santo ha suscitato nella chiesa cattolica numerose e innovative esperienza di fede: movimenti e associazioni hanno saputo cogliere di più e meglio, rispetto alla consolidata epperò talora stanca esperienza delle parrocchie, la novità dell'annuncio. Esperienze di preghiera forti e carismatiche, riflessioni e impegni concreti, una forte appartenenza ad una intuizione che travalicava i confini delle parrocchie. Ritengo seriamente che tale abbondanza di intuizioni sia un dono del Signore ma che – come ogni dono – vada vagliato con logica evangelica. Ho visto parrocchie dividersi in gruppi e gruppetti, ho visto zelantissimi neo-convertiti fare proseliti per il proprio movimento... all'interno della chiesa, ho visto persone devote e infervorate confondere la propria esperienza di conversione come l'unico modo di essere cristiani o – almeno – come il miglior modo di esserlo. No, amici, la chiesa ha scelto di restare in mezzo alla gente con quello strumento povero che è la parrocchia, fontana del villaggio cui tutti si possono accostare per bere. La parrocchia, comunione di comunità, deve ricuperare attenzione alle persone e attingere e ispirarsi alle intuizioni positive di movimenti e associazioni, restando però il cardine dell'annuncio del vangelo, proprio perché così dimessa, proprio perché così vulnerabile. Non ci sono solo gli "ultras" sugli spalti, ma anche quelli che vanno allo stadio una volta all'anno e le nostre comunità, se anche hanno la fortuna di avere uno o più gruppi di persone più impegnati, devono fuggire la tentazione di diventare selettive. I genitori dei bimbi del catechismo, gli sposi stralunati che bussano alla porta della parrocchia devono essere accolti senza supponenza ma, nel pieno spirito evangelico, nella disarmante semplicità che allarga le maglie delle proprie sicurezze ed entra nella logica del seminatore che non controlla il tipo di terreno su cui semina. Ma esiste anche un settarismo "ad extra", la voglia di difendersi da un mondo che sempre meno capisce e tollera la presenza cristiana. Dobbiamo impegnarci a fondo per ottenere quell'alchimia che da una parte connoti un'identità, quella cristiana, che ha diritto di cittadinanza, ma che dall'altro non diventi contrapposizione. Uno sguardo ottimista sulla realtà e sul cammino dell'uomo, sguardo del Nazareno, ci permette di riconoscere e valorizzare i tanti semi di bene e di luce che lo Spirito semina nel cuore dei non credenti. Iniziamo l'anno pastorale in questa certezza: siamo lo spazio pubblicitario di Dio per il mondo, chiamati a vivere rapporti al nostro interno da "salvati" e a far diventare le nostre piccole e acciaccate comunità città sul monte, segno di speranza per i cercatori di verità. |