Omelia (03-06-2008)
Paolo Curtaz


È una bella domanda, davvero, quella posta dai farisei. Sottintende molte questioni spinose: la collaborazione con l'invasore romano, il rapporto della religione con l'autorità civile, la questione morale delle tasse, c'è di che imbastire un bel talk-show in prima serata! Peccato che dietro, però, si nasconde la perfidia e l'inganno, il desiderio di mettere in palese difficoltà e contraddizione il Rabbì di Nazareth. No, non gliene importa nulla delle tasse, ai farisei, al solito si arrangeranno, faranno, come noi, i furbetti per pagarne meno, si lamenteranno al bar sport del governo di turno. Succede un sacco di volte anche a me: persone che pongono scottanti questioni etiche e teologiche che, tristemente, nascondono veemenza e pregiudizio. Allora non resta che dare risposte inutili a domande inutili, rifugiarsi in un comodo sorriso di circostanza dicendo: «Non conosco bene l'argomento», come argomentare con chi non vuole sentire? La riposta che Gesù da, invece, è folgorante e gravida di conseguenze: «Date a Cesare ciò che è di Cesare». Cioè: siete capaci a valutare le cose terrene da soli; un cristiano non conosce magicamente la soluzione ai problemi quotidiani del cittadino, è chiamato ad affrontarli con la logica del Vangelo, confrontandosi con gli altri. Per poi dare a Dio ciò che gli compete, cioè l'essenziale: il cuore, l'amore, la fede.