Omelia (26-06-2008)
Paolo Curtaz


Non bastano le parole e le invocazioni per essere riconosciuti dal Maestro. Anzi: non basta neppure essere discepoli, o profeti, o guaritori, o compiere gesti eclatanti. Gesù è tagliente, oggi, la sua parola spacca in due il nostro cuore, fa traballare le nostre pseudo-certezze. Il discepolo è colui che ascolta la parola e la vive, la mette in pratica. Accogliere la parola e renderla concreta - dice Gesù - significa costruire la casa della nostra vita sulla roccia. Nessuno può dirsi credente fino a quando la tempesta non investe la sua vita. Ricordo un confratello che, di ritorno da una predicazione, ebbe un tragico incidente stradale in cui perse la madre e la nonna. Corsi al suo capezzale, ancora mezzo intontito dai farmaci, pieno di fratture, il groppo in gola, mi guardò e disse: "Ora so di avere la fede". Attenti a non farci scudo delle nostre convinzioni, attenti a non diventare giudicanti e a sentirci migliori di chi abbiamo accanto: nessuno sa se possiede davvero la fede fino a quando questa non è stata vagliata al setaccio del dolore. Accogliamo la parola, allora, facciamola diventare pietra salda su cui costruire ogni scelta, senza fanatismi e senza paure. Allora saremo pronti - a Dio piacendo - ad affrontare le difficoltà. Al discepolo la sofferenza non è evitata, ma egli sa che ha accolto la Parola e che restando ancorato alla roccia, il Cristo, la costruzione della sua vita non crollerà miseramente.