Omelia (02-08-2008) |
Paolo Curtaz |
Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, profeta rigidamente coerente, asceta scomodo, testimone e segno per la preparazione alla venuta del Messia, è ucciso a causa della gelosia di una donna inacidita e dell'ignavia di un re fantoccio. La sua morte, splendidamente narrata da Matteo, è la sintesi della contraddizione che abita nel nostro cuore. Erode ascolta volentieri le parole del Battista, lui, re fantoccio, inetto, che non riuscirà mai ad emulare anche solo lontanamente la gloria del padre Erode il grande, sente nelle parole del Profeta il fuoco della verità. Eppure non esiterà ad ucciderlo per non rimangiarsi la parola data durante un festino idiota in cui una donna permalosa, Erodiade, sfrutta la sensualità della propria figlia per vendicare il suo amor proprio ferito. Erode, Erodiade, Salome, sono tutte maschere del nostro temperamento, palesano la fatica che facciamo nel perdere la faccia in nome della verità, manifestano l'amor proprio ferito che diventa drammaticamente vendicativo, sono imma gine di come il corpo è usato per conseguire torbidi fini. La trappola è riuscita, il rompiscatole è eliminato: fine delle scomode prediche. Eppure, senza quell'uomo sporco e smagrito, severo e dolorante, quel Giovanni profeta cancellato dai giochi di potere di un assolato pomeriggio alla corte del re Erode, nessuno si ricorderebbe neppure i nomi di questi personaggi che, credendo di scrivere la storia, ne sono stati travolti. |