Omelia (13-08-2008) |
Paolo Curtaz |
È un vangelo spinoso e inquietante, quello di oggi, che testimonia la prassi della prima comunità cristiana riguardo al perdono reciproco. La comunità, ci dice Gesù, sente il bisogno di occuparsi dell'altro, ha a cuore il bene del fratello, e, in caso di palese peccato, avverte il bisogno di intervenire con delicatezza per aiutarlo. E qui già vacilliamo guardando alla prassi della Chiesa attuale! Normalmente accade, invece, se qualcuno della comunità si è messo su una brutta strada, di pensare che sono affari suoi, o - al massimo - ne sparlo scandalizzato e lo giudico. Bene, anzi: malissimo. Nessuno di questi due atteggiamenti, l'indifferenza o il giudizio, manifesta amore verso il fratello. Gesù indica una sequenza di gesti da compiere piena di attenzione e di buon senso: parlarne con delicatezza a quattr'occhi (senza moralismi), coinvolgere qualche altro fratello (non nel senso di spettegolare, ma di portare nella preghiera, di accompagnare), coinvolgere la comunità nel suo insieme. Credo che ci voglia molto Spirito Santo, molto buon senso e molto amore per riuscire a vivere questa dimensione con vero sentimento evangelico. Animo, allora, le nostre comunità hanno ancora moltissimo da fare per passare dal bisbiglio da sacrestia al prendersi carico di chi fa fatica, dal giudizio moralista alla solidarietà amorevole, dall'indifferenza all'accompagnamento discreto e fraterno. |