Omelia (18-08-2008)
Paolo Curtaz


La ricchezza è una grande serva e una pessima padrona. Col passare degli anni sono diventato più scettico riguardo alla ricchezza; non ho mai incontrato nessuno che mi abbia detto: «Io vivo per far soldi», o qualcuno che affermasse con sincerità di essere mosso dall'avidità e dal desiderio di possesso. Magnifico! Ma allora, scusate, da dove vengono tutte le tensioni, i litigi, le famiglie che si scannano per questioni di eredità? Gesù non condanna la ricchezza in sé, solo ci ammonisce: la ricchezza promette una gioia che non è in grado di mantenere, si prende un impegno che in alcun modo può colmare. Gesù non è un classista: tra i suoi discepoli annovera diverse persone facoltose e non ha paura di farsi mantenere da alcune persone che finanziano la sua opera. La ricchezza non è problema di quantità di soldi, ma di atteggiamento, e molti sono quelli che nascondono dietro l'ansia del possesso ogni loro bramosia. Conosco persone col portafoglio piccolo e un cuore avido, amici relativamente benestanti che si adoperano seriamente per utilizzare la loro fortuna per il Regno di Dio. Allora, fratelli, siamo seri e schietti su quest'aspetto, guardiamo alla nostra libertà interiore rispetto all'uso dei beni terreni e, se vediamo davvero di essere legati al denaro, pratichiamo un bel po' di sana elemosina. Dico: non vorrete mica far la fine dello sciocco di oggi che si è perso Dio per paura di perdere le quattro cose che aveva accumulate?