Omelia (27-08-2008)
Paolo Curtaz


No, non siamo migliori dei nostri padri. Questa è una consapevolezza che ho maturato col passare degli anni, una verità che ora mi sembra evidente, inoppugnabile, ovvia. Quando, sull'onda dell'entusiasmo della conversione, ci avviciniamo al Signore, tutto ci sembra facile, tutto immediato, sentiamo, in tutta umiltà, di poter scavalcare i monti e superare i mari in un sol balzo. Sentiamo in noi la forza dei santi, l'ardire dei martiri e, piamente, rischiamo di giudicare tutto e tutti: i tiepidi che vengono a Messa e non "capiscono", coloro che, pur credendo, si sono allontanati dal Vangelo, gli errori evidenti della Chiesa durante le proprie vicissitudini storiche. In fondo, pensiamo, piamente, che trovandoci nelle stesse situazioni, ci saremmo comportati, in modo diverso, che ci saremmo schierati sempre dalla parte della verità e del Vangelo, specie quando i cristiani si sono lasciati offuscare la mente... E Dio sorride, scuotendo la testa. Sorride pensando all'irruenza di Pietro, sorride davanti alle boutades dei farisei che si discostano dai propri padri che non hanno riconosciuto i profeti. No, amici, oggi come allora non è facile riconoscere i profeti, né vivere con verità il cammino di fedeltà al Vangelo nella storia. Restiamo bene avvitati alla realtà, allora, non illudiamoci di essere diversi, né, tantomeno, migliori. Siamo solo fragili discepoli, amici, ed è già una cosa grandiosa essere in cammino...