Omelia (16-09-2008)
Paolo Curtaz


Conosco molte persone (gli altri, non voi!) che hanno di Dio un'idea terribile ed inquietante: se lo immaginano una specie di Moloch perfetto e insensibile che dall'alto dei cieli ci guarda accigliato e indifferente e molti, purtroppo, si comportano di conseguenza temendo questo Dio; così, nel caso di una morte o di una disgrazia, la nostra fede viene sbriciolata dal dolore: è Dio che mi ha inviato la sofferenza, forse per mettermi alla prova, chissà. Gesù ci dice, invece, che Dio è compassionevole, soffre insieme a noi quando vede passare il corteo funebre del figlio unico di una vedova di Naim, una situazione che lascia intravedere una scia di dolore inaudito. Gesù prova compassione e dona vita, restituisce dignità. No, non sappiamo quale sia la ragione ultima della morte, sappiamo però che la Scrittura scagiona Dio e professa, ad attenuare le nebbie dei nostri fragili ragionamenti, un Dio che desidera la vita e non la morte. La folla resta attonita e glorifica Dio riconoscendo il quel segno la venuta di un grande profeta. Siamo chiamati, oggi, ad individuare i tanti segni di resurrezione che Dio pone tra le nostre mani, a saper leggere le resurrezioni che vedremo nello sguardo dei nostri fratelli, a compiere gesti di tolleranza, di perdono, di pazienza, caparra della resurrezione, testimonianza del Dio che ama la vita.