Omelia (12-10-2003)
don Fulvio Bertellini
Gesù sgarbato

Gesù parla tre volte al tale desideroso, a suo dire, della vita eterna. Sembra quasi volerlo mettere alla prova, come se non si fidasse di lui. La prima risposta ci appare fin sgarbata: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo". Lo scopo è di fugare dall'inizio ogni equivoco: Gesù non è un semplice predicatore di buone parole. E' il portavoce esigente di Dio. Tanto da nascondere la propria bontà, di fronte alla bontà del Padre. La seconda parte della risposta è a prima vista banale, in quanto si limita a richiamare i Comandamenti, quelli che tutti conosciamo fin da piccoli, e che da secoli sono guida e orientamento all'agire dell'uomo. Nulla di nuovo dunque. Ma anche qui si vuol spazzare il campo dalla ricerca curiosa di novità inutili. I segreti della vita non sono come mode passeggere, che cambiano ad ogni stagione. La ricerca della novità troppo spesso non fa altro che rimandare la conversione.

La terza parola

Il tale torna alla carica. Ha osservato tutti i comandamenti, fin dalla giovinezza, appare sincero nel suo proposito. Non si è lasciato intimidire dalla reticenza di Gesù, ha superato la prova. Può ricevere la terza parola di Gesù. Quella più vera, quella più nuova. Quella in cui finalmente Gesù rivela se stesso. L'evangelista le dà un rilievo speciale, sottolineando i gesti di Gesù: fissa il tale, lo "ama". E' in atto un processo di scelta, simile a quello che aveva portato alla chiamata dei discepoli. E finalmente Gesù rivela l'unica cosa mancante: andare, vendere, dareai poveri, farsi un tesoro in cielo, venire, seguirlo. Una serie di operazioni troppo complessa per essere "una cosa sola"? Certamente, non è esattamente qualcosa che si possa fare in un attimo. Richiede almeno qualche ora, se non qualche giorno. Ma per Gesù si tratta di "una cosa sola": diventare discepolo. "Vieni, seguimi": tutto è finalizzato a questa sola cosa.

La tristezza del ricco

Il tale se ne va triste. Cercava un maestro buono, cercava buoni consigli per vivere, cercava sinceramente qualcosa di più da fare. Ma ha trovato una persona da seguire. Una persona che pretende di essere qualcosa di più di un buon maestro, che esige una dedizione inaudita. La tristezza del tale è tuttavia sospetta. Poteva andarsene imprecando e sbeffeggiandosi di Gesù e delle sue assurde richieste. Probabilmente ha capito qualcosa di Gesù, ha riconosciuto che è un personaggio eccezionale, fuori dal comune, forse ha pure intuito che Gesù ha una relazione speciale con Dio, forse desidera perfino seguirlo... ma non basta. I suoi beni lo frenano. Gli impediscono di compiere il salto decisivo.

Seguirlo oggi

Noi crediamo di osservare tutti i comandamenti. Ammettiamo pure che sia vero: ancora non basta. Il punto decisivo, che trasforma la nostra vita è la sequela di Gesù. Quella che nasce dal suo sguardo di amore e dalla sua chiamata. E che ci richiede certamente una rinuncia. E' un discorso che spaventa, come anche spaventa i discepoli: "Chi mai potrà salvarsi? ". La salvezza non è affidata a regole chiare e precise, ad adempimenti fissati e certi, in cui noi possiamo rivelarci "buoni", ma deriva dal rapporto con Dio: "lui solo è buono". E presso di lui diventa possibile anche ciò che per gli uomini è impossibile. Coloro che si fidano di Dio fanno cose umanamente impossibili, e seguono Gesù con rinunce che, viste da fuori, spaventano. Eppure ci accorgiamo che è quella la via della salvezza.

Cento volte tanto

Sentiamo che i nostri beni in eccesso non ci dànno gioia, ma solo affanni e tristezze, e sentiamo anche che ogni volta che sappiamo rinunciare a qualcosa per Gesù, troviamo tanto: troviamo più fraternità, più amore, più soddisfazione, più gioia... le parole di Gesù "cento volte tanto, insieme a persecuzioni, e la vita eterna" sono vere. Ma che cosa ci impedisce di fidarci?


Flash sulla I lettura

"Pregai e mi fu elargita la prudenza / implorai e venne in me lo spirito della sapienza": con grande carica poetica l'autore ignoto del libro della Sapienza riprende e sviluppa coerentemente la grande tradizione sapienziale. La dimensione religiosa emerge in primo piano: solo chi crede possiede la vera sapienza.
"La preferii a scettri e a troni / stimai un nulla la ricchezza al suo confronto": i primi sapienti si occupavano di come avere successo nella vita; uno degli ambiti privilegiati di sviluppo del pensiero sapienziale era proprio la vita di corte, dove si formavano i consiglieri del re. L'autore del libro della Sapienza relativizza il potere e la ricchezza: la sapienza è più importante. Così in qualche modo anticipa il discorso di Gesù nel Vangelo: non una condanna della ricchezza in sé, ma la considerazione che esiste qualcosa di più importante, per cui vale la pena anche di lasciare tutte le ricchezze.
"Preferii il suo possesso alla stessa luce...": la luce è qui la vita stessa. L'autore ha già colto nei capitoli precedenti del libro il legame tra sapienza e immortalità. Il libro della Sapienza, tra i testi dell'Antico Testamento, è il il più esplicito riguardo all'idea della risurrezione e di una vita oltre la morte.
"Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni...": non si tratta soltanto di beni materiali (anche se non sono esplicitamente esclusi): si allude soprattutto ai beni spirituali, tra i quali anche una capacità nuova e diversa dagli altri uomini di godere i beni del mondo. Il sapiente può essere felice anche se povero, e usa dei beni diversamente dagli altri uomini.

Flash sulla II lettura

"La Parola di Dio è viva...": Questo elogio della Parola di Dio si trova al termine di un lungo commento al Salmo 94. L'autore si era soffermato in particolare sul versetto che dice: "OGGI, se ascoltate la sua voce, non indurite i vostri cuori", facendo rilevare che la voce dello Spirito parla, nell'oggi, attraverso il Salmo: le parole del Salmo, rimaste lettera morta per i primi ascoltatori, si realizzano nell'oggi per i fedeli di Cristo. Dopo la lunga spiegazione, non può fare a meno di soffermarsi, quasi colto da stupore, sulla potenza della Parola divina.
"...essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla...": la Parola di Dio esprime la sua forza nell'intimo della persona; essa è strumento di rivelazione e di conoscenza. Possiamo chiederci che cosa intenda qui l'autore della Lettera agli Ebrei per "Parola di Dio". Certamente, egli fa ampio uso degli scritti dell'Antico Testamento, ed è chiaro che per lui si tratta di scritti normativi. D'altra parte mostra continuamente l'insufficienza di una loro interpretazione puramente letterale: solo in Gesù, solo nella forza dello Spirito si ha la piena comprensione della Parola di Dio.
"Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui...": qui non si parla più della Parola, ma di Dio stesso. Il passaggio avviene insensibilmente, quasi senza che ce ne accorgiamo. Per l'autore la Parola di Dio supera i confini del testo scritto: è Dio stesso che parla, per chi lo sa ascoltare, nel testo scritto, ma anche andando al di là del testo scritto.