Omelia (23-09-2008) |
Paolo Curtaz |
Matteo non si aspettava salvezza, né la meritava. Troppi compromessi, troppe rinunce alla legalità nella sua vita per poter osare tanto. La vita per lui era diventata, ormai, potere e denaro, timore e rispetto da parte degli altri. E invece la sua durezza, l'alto muro eretto per difendere la propria vita si schianta in un attimo, si sbriciola quando vede nello sguardo del Nazareno amore, rispetto, verità. Matteo era abituato agli insulti di chi pagava, attraverso di lui, l'iniqua tassa imposta da Roma imperiale. Collaborazionista e ladro, non temeva lo sprezzo dei suoi amici. No, non meritava alcuna compassione. E, invece, ne riceve. E l'inatteso, e l'inaudito, come sempre, scatena la gioia, produce il brivido: Matteo si scioglie, lascia tutto, fa festa; come Abramo rischia tutto, ma sa di scommettere sul giusto. Matteo testimonia che il Signore è venuto per i malati, non per i sani. Perché, allora, nella Chiesa facciamo a gara a far vedere quanto siamo in forma? Perché mal tolleriamo chi porta sulla propria pelle le piaghe della malattia interiore? Certo, pensano alcuni, Gesù è venuto per i malati. Ma che si sbrighino a guarire! No, Gesù non pone condizioni, non aspetta conversioni, le suscita. Matteo diventa discepolo esattamente perché non si sente giudicato, proprio perché si accorge di essere amato senza condizioni, senza processi, senza giudizi. |