Omelia (05-10-2003)
don Fulvio Bertellini
Questione di radicalità

Inflessibile e dolce

"L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto". Il Gesù che ci parla questa domenica ci appare come un Gesù esigente, severo. Ma al termine del brano lo vediamo abbracciare e benedire i bambini, mentre gli apostoli lo volevano impegnato in attività più serie, e con compagnie più altolocate. Per chi è come un bambino, Gesù non è mai troppo duro o severo: resta sempre l'annunciatore del lieto messaggio del Regno di Dio. Un regno di pace e di gioia. Ma di quella pace e di quella gioia che si possono trovare soltanto nella radicalità.

Anche Francesco...

Per capire questo potremmo far riferimento a San Francesco, di cui è vicina la ricorrenza: nessun santo più di lui è immagine della letizia evangelica, della pace con il creato. Ma Francesco è anche l'uomo della radicalità: la povertà vissuta alla lettera, la castità nella sua forma più pura, l'obbedienza portata fino all'identificazione con il Crocifisso.

Tiepidi e scontenti

L'esempio di Francesco ci fa comprendere una realtà profonda della vita cristiana: non ci può essere gioia e autentica realizzazione se non si percorre in qualche modo la via della croce, se non si passa per la porta stretta, se non si abbraccia un amore puro e radicale. Questo vale per preti e sposati, uomini e donne, giovani e vecchi... in ogni condizione possiamo riscontrare la via della radicalità. Ma è più facile seguire la via del compromesso - che potremmo sbrigativamente classificare come "rifiuto della croce". Nel compromesso ci adagiamo facilmente: basta "essere a posto" esteriormente, non far del male a nessuno, usare il buon senso, andare a Messa la domenica... si diventa cristiani tiepidi. Ma senza sapore e senza gioia.

Matrimonio piatto

Il matrimonio cristiano rischia facilmente di scadere nella piattezza e nel compromesso. Ci si sposa per dovere, e si va avanti per abitudine. Un tempo forse la società e la convenienza lo facevano accettare più facilmente. Oggi il clima sociale fa più facilmente esplodere tutte le situazioni a rischio. Perché portare avanti una relazione che sembra ormai spenta? Perché rifiutare le occasioni che sono a portata di mano? Perché tenere in piedi a tutti i costi un matrimonio? Perché non posso rifarmi una vita? Le parole di Gesù sembrano dure e inflessibili: "l'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto". In realtà sono parole radicali: vanno cioè alla radice del problema. Nel matrimonio non c'è solo istituzione, abitudine, consuetudine, scelta umana. C'è una precisa vocazione di Dio, che Gesù invita a riscoprire, scrostandola dai compromessi di comodo con cui la rivestiamo.

Un discorso per tutti

Gesù quindi annuncia, in tutta la sua purezza e bellezza, la vocazione originaria dell'uomo. Pretende molto, perché ci rivela in pienezza la nostra dignità. E perciò aggiunge che il Regno appartiene a chi è come un bambino, a chi si fida, a chi sa accogliere il progetto di Dio. Ma noi siamo come bambini? Questo Vangelo interroga tutti. Sarebbe facile applicarlo solo alle coppie in crisi, per condannare e giudicare. Ma si rivolge a tutti noi, quando siamo cristiani del compromesso, cristiani per abitudine, cristiani tristi, che hanno perso il gusto per la radicalità (e quindi il gusto della vera gioia). Quando siamo così, non abbiamo niente da dire alle coppie in crisi. Forse dovremmo noi per primi lasciarci mettere in crisi dalla Parola di Gesù. Riscoprire la via impegnativa e lieta del Regno di Dio. Smettere di farci degli sconti, di accontentarci del quieto vivere. Il Signore ci propone una vocazione grande e impegnativa. Possiamo accontentarci di una vita comoda?


PRIMA LETTURA

All'inizio del libro della Genesi troviamo alcuni racconti di carattere mitico. Non intendono trasmettere una cronaca storica, ma illustrare la realtà profonda delle cose. Non sono però favolette con una morale da decifrare, residuati di un pensiero arcaico e ormai superato dal progresso dell'uomo: essi affrontano alcuni problemi fondamentali dell'uomo, ai limiti della comprensione e del linguaggio. Ciò che eccede le parole umane, ciò che supera i limiti della nostra comprensione profonda, viene espresso nel racconto mitico; il compito del lettore è contemplare quel mistero, e riconoscersi in esso.
Le domande fondamentali che interessano il brano di oggi sono dunque: "che cosa differenzia l'uomo dall'animale?" e "perché la differenza uomo\donna?". Una comprensione scientifica può inondare il problema di dati, osservazioni, spiegazioni, ma non riesce ad andare alla radice del problema. Lo scienziato mi spiegherà le analogie e differenze tra gli organi dell'uomo e quelli dell'animale, analogie e differenze tra il cervello dell'uomo e quello dell'animale; è interessantissimo vedere come in tanti nostri comportamenti sopravvivono residuati di istinti animali... ma la domanda di fondo non può ricevere una risposta dalla scienza. Perché non si tratta di un semplice problema filosofico o scientifico, e neanche teologico. Riguarda ciascuno di noi, nella sua esistenza: "Chi sono io, in rapporto al mondo? Cosa vuol dire per me essere uomo?". E ciascuno è costretto a dare la sua risposta, teorica o pratica, riflessa o implicita. Il racconto biblico orienta ad una certa comprensione: l'uomo è qualitativamente diverso dagli animali, ed ha una particolare vocazione all'interno del mondo creato.
Anche sul problema della differenza uomo\donna, la scienza non dà le risposte fondamentali. Fa però conoscere le affascinanti modalità con cui avviene la differenziazione sessuale, a partire dall'embrione, fino alla maturità. Anche solo dal punto di vista fisico, è un processo affascinante e delicato, in un equilibrio delicatissimo. Ancora più complesso è il fatto psichico, in cui interviene massicciamente il fatto culturale. Ma la scienza non può dare risposte sul senso di questo processo, e sul modo di gestirlo. Ogni individuo umano si ritrova di fronte ad un mistero che esige una risposta esistenziale: che uomo o che donna voglio essere? che significato posso dare alla mia sessualità? Il racconto biblico fornisce alcune direzioni: innanzitutto l'unità e la pari dignità tra l'uomo e la donna ("carne della mia carne"); ma nello stesso tempo l'irriducibile differenza ("un aiuto che gli sia simile"): le due identità non sono interscambiabili; infine, la destinazione per la relazione. Uomo e donna devono incontrarsi, interagire, comunicare; ciascuno di noi è fatto per la relazione, e solo nella relazione con l'altro realizza pienamente se stesso.

SECONDA LETTURA

In questi densi versetti l'autore della lettera agli Ebrei affronta un problema capitale per lui: la nostra effettiva solidarietà con Gesù. Un Gesù che fosse solo un essere celeste non potrebbe salvarci. Diventa pertanto decisivo il discorso della morte: egli "ha sperimentato la morte a vantaggio di tutti". La morte di Gesù diventa segno di una condivisione radicale della condizione umana, che diventa salvifica: Gesù è "il capo che ci guida alla salvezza"; egli è "colui che santifica". La fraternità con Gesù può così diventare motivo di fiducia: non crediamo in un'utopia, ma in una persona viva, che dà una reale possibilità di trasformare le nostre esistenze.