Omelia (13-10-2008) |
Paolo Curtaz |
A volte dettiamo delle condizioni a Dio: siamo noi a dirgli cosa deve fare per esistere; e in questa rappresentazione di Dio si nasconde, il più delle volte, il bisogno del segno eclatante, del miracolo, anzi leghiamo il mondo del miracolo al mondo del divino, quasi come se Dio dovesse stravolgere ciò che va benissimo - la natura, il creato, l'ordine della creazione - per dimostrare di esistere. Gesù rifiuta questa visione miracolistica per sé e per Dio; anzi: appare piuttosto urtato dalla continua richiesta di segni e di prodigi, peraltro ancora molto diffuso ai nostri giorni. C'è sempre il bisogno di correre dietro le apparizioni e delle madonne piangenti; il Signore ci invita, piuttosto, ad imitare l'atteggiamento degli abitanti di Ninive e della regina del sud. I primi si convertirono alla predicazione di un profeta, e quanti profeti inascoltati percorrono ancora le strade della nostra città!, la seconda fece un lungo viaggio per verificare le notizie sulla immensa saggezza di Salomone. Guardiamo i segni intorno a noi, amici, la voce della predicazione che ascoltiamo ogni domenica e i gesti di bene e di saggezza che troviamo intorno a noi e, soprattutto, sappiamo riconoscere il grande segno di Giona che rimase tre giorni nel ventre della balena così come Gesù rimase tre giorni nel ventre della morte: il segno della Resurrezione, il più grande e definitivo dei segni che ci testimonia che davvero Gesù è il Figlio di Dio. |