Omelia (23-10-2008)
Paolo Curtaz


Molte persone hanno l'idea del cristiano come di un animale da sacrestia, mezzo uomo, incapace di gioire, divorato dai sensi di colpa e con lo sguardo rivolto a terra, nascosto nel grembo della parrocchia per non affrontare la vita e il mondo... E, purtroppo, molti discepoli confermano questa malsana visione! Gesù, invece, porta il fuoco e la divisione, la sua parola è tagliente come una spada a doppio taglio, che obbliga a verità. Verità non fanatica e guerriera, ma adulta e virile, posata e meditata. Essere cristiani, almeno un poco, costa, e il Signore lo sa e ci invita a prenderne coscienza; se non ho mai subito una presa in giro o uno sguardo di commiserazione per la mia fede significa solo due cose: o vivo in un monastero, o proprio non si vede che sono cristiano. La comunità a cui si rivolge Luca già sperimenta questa violenza: le prime comunità cristiane sono estromesse dalle comunità ebraiche, "scomunicate" e questo crea scissione e ferite profonde all'interno delle famiglie. Oggi, sempre di più assistiamo a situazioni simili: figli credenti che subiscono la pressione di genitori disillusi e acidi, giovani che scelgono di consacrare la loro vita presi per pazzi, genitori preoccupati per figli che, invece di rincretinire davanti al televisore, dedicano il pomeriggio ai ragazzi dell'oratorio. Coraggio: restare discepoli oggi, sempre di più, richiede determinazione e passione, nella mite logica del vangelo.