Omelia (25-10-2008)
Paolo Curtaz


Gesù prende un fatto di cronaca dei suoi giorni, il crollo di una torre e la repressione violenta di una sommossa, per darci una lezione di storia e di teologia. Molti immaginano Dio come un interventista, che dall'alto della sua perfezione decide le sorti delle persone mandando fortune o punizioni. Anzi, siamo proprio noi a reclamare un qualche intervento per risolvere delle situazioni, personali e planetarie. Molti cristiani, ahimé, sono ancora legati alla teoria della retribuzione: se soffro è per scontare una qualche colpa, ma io mi sento abbastanza a posto, quindi, cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Ce n'è voluto di tempo e di esperienza - da Giobbe a Gesù - per slegare definitivamente questa accoppiata: la malattia e la disgrazia non sono mai una punizione, ma Dio sta dalla parte di chi soffre, di chi viene spazzato via, come in questo caso, dall'imperizia di un ingegnere o dalla folle determinazione di un potente. Anche se la mia vita attraversa un momento difficile, non è necessariamente un intervento di Dio per punirmi o farmi capire chissà quale lezione. Però, dice il Signore, se la tua vita non si apre ad una visione della vita di fede, se non scopri che Dio ti ama, questa sì è una iattura, la peggiore. Sappiamo vivere le fatiche e le gioie della vita da adulti, senza incolparne Dio e sappiamo investire bene la nostra giornata che conclude la settimana.