Omelia (01-11-2008) |
Paolo Curtaz |
Auguri! Oggi la Chiesa, colma di gratitudine e di buon umore, dà lode al Santo, l'inconoscibile, l'assoluto, che condivide la sua perfezione con uomini e donne che si lasciano abitare dalla luce. Che nostalgia... Se riusciamo a mettere i Santi accanto a noi, ci accorgeremo che la loro santità non consiste nel fare cose fuori dal comune, o nell'avere atteggiamenti devozionistici o pietistici, rassegnati o zuccherosi. Conoscere i Santi significa percepire in essi una profonda umanità innalzata dall'amore di Dio. Sono uomini e donne di tutti i tempi che hanno cercato di lasciarsi fare dalla grazia del Signore, senza intralciarlo, ma mettendo la propria sensibilità e intelligenza a servizio del Vangelo. Se la Santità è il modello della piena umanità, perché non porci questo obbiettivo? Santo è chi lascia che il Signore riempia la propria vita fino a farla diventare dono per gli altri. Come brillantemente annota uno scrittore francese del secolo scorso: «Non c'è che una tristezza: quella di non essere santi». Festeggiare i Santi significa celebrare una Storia alternativa. La storia che studiamo sui testi scolastici, la storia che dolorosamente giunge nelle nostre case, è fatta di violenza e prepotenza e non è la vera Storia. Intessuta e mischiata alla storia dei potenti, esiste una Storia diversa che Dio ha inaugurato: il suo regno. Le Beatitudini ci ricordano con forza qual'è la logica di Dio. Logica in cui si percepisce chiaramente la diversa mentalità tra Dio e gli uomini: i beati, quelli che vivono fin d'ora la felicità, sono i miti, i pacifici, i puri, quelli che vivono con intensità e dono la propria vita, come i Santi. Questo regno che il Signore ha inaugurato e che ci ha lasciato in eredità, sta a noi, nella quotidianità, renderlo presente e operante nel nostro tempo. |