Omelia (18-11-2008) |
Paolo Curtaz |
Zaccheo è un manager riuscito: ha soldi a palate, rispetto (timore?) da parte dei suoi, è importante perché capo dei collaborazionisti. È curioso: ha saputo del passaggio del profeta falegname, ma non vuole farsi vedere e si nasconde tra le foglie di un albero. E accade l'inatteso, Gesù lo stana, lo vede, gli sorride: scendi, Zaccheo, scendi subito, vengo da te. Zaccheo scende, di corsa. Perché? Il fascino di Gesù lo ha riempito? Intuisce qualcosa? Gesù non giudica, né teme il giudizio dei benpensanti di ieri e di oggi: va a casa sua, si ferma, porta salvezza. Zaccheo è confuso, vinto: fa un proclama che lo porterà alla rovina, ma che importa? È salvo ora. Non più solo sazio, solo temuto, solo potente. No, salvo, discepolo, finalmente. Lui, temuto ed odiato, ora è discepolo. Che grande è Dio! Zaccheo siamo noi: travolti dal delirio quotidiano, concentrati a riuscire, frustrati perché non riusciti. Zaccheo sono io che ascolto le sirene intorno a me, sirene che mi chiedono sempre di più, sempre il massimo: al lavoro, a casa, nell'aspetto fisico. La fede non importa poi molto, sì, un po' di curiosità, qualche solletico New Age che tratta Dio come una serva e mette me, e il mio ego sempre al centro dell'universo. Eppure Dio ci ripesca lì, quando crediamo di essere arrivati. Dio ci stana, ci rincorre, perché ci ama, davvero: Lui sì, ci ama senza condizioni. Dio ci cerca, lui prende l'iniziativa; Dio ci ama, senza giudicare. Mai. |