Omelia (19-11-2008)
Paolo Curtaz


Riprendiamo, in forma leggermente diversa, la parabola dei talenti letta qualche giorno fa. Ma la lezione è la stessa: un invito ai discepoli a far fruttare le proprie qualità. Troppe volte mi sento dire dalle persone «Non valgo a niente». È un paradosso, ma in eguale misura, nella mia vita di prete, trovo gente che si esalta e si nasconde dietro un'apparenza pesante e sciocca e altrettante persone che si macerano amplificando a dismisura la propria fragilità. Dire che non si vale a niente, non è umiltà, ma depressione. Il padrone di oggi contesta duramente questo atteggiamento vittimista che produce, come unico risultato, l'inabilità permanente. Ognuno ha dei talenti, ognuno ha dei doni, a ciascuno di scoprire quali sono per metterli a servizio del Signore e del Regno: smettiamola di pensare che la nostra vita è inutile e che siamo una specie di sbaglio della Creazione! Certo, forse il dono che possiedo non è evidente o clamoroso, ma c'è, garantito. Forse ho il dono dell'ascolto degli altri, o della pazienza, o di potare le rose. Credete forse che queste cose valgano meno di un premio Nobel? Animo, allora, Dio ci ha donato dei doni da mettere a servizio della comunità, non lasciamo perdere ciò che siamo nel profondo! La nostra giornata sia vissuta all'insegna del lasciar crescere i doni che il Signore ci ha dato, lasciando crescere quelli degli altri!