Omelia (20-11-2008)
Paolo Curtaz


Gesù piange su Gerusalemme, oggi come allora. È un mistero di sangue e di iniquità questa città costruita sui monti brulli della Giudea, come un faro che risplende nella notte, che racchiude in pochi chilometri le ansie e le speranze di tre religioni che coinvolgono oltre due miliardi di persone. Mistero di incomprensione in cui si gioca tutto il bene e il male dell'uomo, tutta la luce e la tenebra. Gerusalemme è una città santa e lacerata, divisa dagli uomini e amata da Dio. Amiamo Gerusalemme amici, soffriamo per lei, preghiamo intensamente per la pace tra i fratelli ebrei e i fratelli palestinesi, facciamo sentire forte la nostra amicizia e la nostra solidarietà ai cattolici del Patriarcato latino, fratelli che abitano quella terra dai tempi di Gesù, al più arabi di etnia, israeliani di nazionalità e cattolici di religione, schiacciati tra incudine e martello, esasperati da una guerra non loro, sconvolti da una situazione economica disastrosa. Svegliamo le nostre comunità, organizziamo scambi, gemellaggi, facciamo sentire la nostra presenza a Gerusalemme ai discepoli del Nazareno che lì soffrono la contraddizione dell'uomo e delle religioni. Non basta piangere su Gerusalemme, né liquidare con qualche battuta la situazione come se non ci riguardasse: abbiamo fratelli cristiani laggiù che si sentono abbandonati, attiviamoci sul serio per dar loro la certezza di essere nel cuore di ogni cristiano!