Omelia (27-12-2008)
Paolo Curtaz


Giovanni il mistico, il discepolo prediletto, colui che credette pur senza avere visto, il discepolo dell'amore che accolse il battito del cuore di Cristo durante l'ultima cena, che accolse in casa la Madre, ci accompagna a capire il Natale.

In questa ottava la liturgia ci propone una specie di riassunto del natale, un compendio della vera fede. Gesù bambino non suscita tenerezza ma inquieta, destabilizza, ci obbliga a scegliere, ci mette dalla parte della verità di Dio e di noi stessi. Eccolo Dio: non dona, ma si dona, non fa i miracoli a nostra misura, chiede accoglienza. Lo vogliamo davvero un Dio così? La memoria di Stefano ci fa toccare con mano quanto può essere violenta la fede: siamo disposti ad accogliere il Dio fragile fino a morirne? E, oggi, la liturgia ci fa incrociare san Giovanni, il mistico. Il vangelo ci richiama alla globalità della fede cristiana: adoriamo quel bambino perché riconosciamo in lui il crocefisso risorto. Non ci fa tenerezza perché è un neonato che vagisce, ci spinge a conversione perché in lui riconosciamo il vero volto di Dio, il Dio morto e risorto per noi. Celebriamo il Natale come conseguenza della Pasqua. Abbiamo bisogno di volare in alto, come un'aquila, per penetrare il mistero della pienezza di Dio. Dobbiamo guardare col cuore e con lo spirito per penetrare le profondità del mistero. Giovanni il discepolo che, come noi, Gesù ama, ci accompagna a penetrare il mistero degli eventi. Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai Dio nasca nei nostri cuori!