Omelia (02-01-2009)
Paolo Curtaz


Tutta la nostra vita è una presa di coscienza, una progressiva auto-consapevolezza di chi siamo e di cosa ci stiamo a fare su questo pianeta terra. I cristiani non fuggono (o non dovrebbero!) fuggire da questa logica: il percorso di fede è, per l'appunto, un percorso, una progressiva comprensione del mistero di Dio a partire dall'evento dell'incarnazione di Gesù. Spesso, però, troppo, spesso, ci immaginiamo la fede come un blocco di pietra inamovibile da prendere o lasciare. E molti cristiani si pensano devoti perché ottusi, confondendo la fede con l'ostinazione delle proprie convinzioni. Fa tenerezza, all'inizio dell'anno nuovo, incontrare un consumato Giovanni Battista, il più grande fra tutti gli uomini, parlare di se stesso. E vengono i brividi. Giovanni è seguitissimo, amato, duro asceta consumato dal sole del deserto, potrebbe prendersi per il Messia e la folla si getterebbe ai suoi piedi. E invece no, il contatto con Dio lo ha reso autentico, vero, profondo. No, non si prende per Dio e di sé ha capito di essere "voce". Pochino, vero? È una voce prestata a Dio e il non tacere lo porterà alla morte. San Paolo, alla fine della sua vita, scriverà a Timoteo (lui!) di essere felice per avere conservato la fede. E noi, cosa abbiamo scoperto di essere?