Omelia (04-01-2009)
Paolo Curtaz


Siamo quasi alla fine del tempo natalizio, il più breve e intenso dell'anno liturgico, e la Parola oggi ci invita, seguendo san Giovanni, a fissare lo sguardo nelle profondità del mistero di Dio e della sua logica di bene.

Giovanni scrive il suo prologo alla fine del vangelo. Vangelo che, peraltro, ha scritto vent'anni dopo la stesura definitiva dei sinottici, quasi una meditazione sui vangeli, una riflessione teologica sul mistero di Dio. Così Paolo, scrivendo agli Efesini, quasi lo riprende per svolgere una meditazione sulla provvidenziale logica di Dio. Quei diciotto versetti introduttivi al vangelo di Giovanni sono una specie di volo infinito nel cuore di Dio, di sintesi vertiginosa della logica dell'incarnazione. Giovanni è stato uno dei primi discepoli, ha seguito ogni momento della vita pubblica di Gesù, la sua morte e resurrezione, la nascita della prima comunità cristiana e le prime persecuzioni. E ora, nel pieno della sua maturità umana e spirituale, osa parlare. Gesù è Dio, ci dice, è da sempre, è il Verbo che si fa carne. Il Verbo: la Parola che ha creato l'universo all'inizio della storia, la parola che ci relaziona. E questa "parola" è venuta apposta per parlarci di Dio, per raccontarci chi è Dio, ma, dramma dell'umana libertà, questo dialogo è caduto nel vuoto, soffocato dal pregiudizio e dall'incomprensione. Dio non è stato accolto. A noi che lo accogliamo, però, Dio da la possibilità di diventare suoi figli. La Parola che meditiamo ogni giorno ci faccia prendere consapevolezza che siamo destinati alla figliolanza divina, a penetrare nel cuore di Dio.