Omelia (19-10-2003) |
Paolo Curtaz |
La comunità a servizio della felicità Come può essere una comunità cristiana, qual è il sogno di Dio che è la Chiesa? Nelle ultime settimane abbiamo approfondito questo tema, la logica del mondo che viene superata dalla tenerezza di Dio, la possibilità di vivere in maniera diversa la vita, la capacità di realizzare un pezzo di Regno di Dio nelle nostre comunità. E oggi ritorniamo ad un tema affrontato qualche settimana fa: il potere e l'invidia. Attenti, però, al rischio telecomando mentale. Qualcuno potrebbe pensare: "Ecco, si parla del potere, io non sono potente, né politicante, né industriale e quindi... zac... cambio canale mentale" e via a pensare alla vittoria della Ferrari. No. La Parola riguarda tutti, la Parola, ricordate domenica scorsa? Scava dentro me e mi cambia, mi spezza in due, mi scarnifica, mi inquieta e mi libera, mi salva. Sempre che sia disposto ad ascoltarla. La richiesta di Giacomo e Giovanni (notate: Giovanni il mistico!) è curiosa: Gesù è un Rabbì affermato, la gente ormai lo riconosce come Messia, occorre quindi pensare al futuro governo di Israele con a capo, ovvio, Gesù, e i vari ministri. Poveri apostoli! Quanto ancora dovranno essere masticati prima di capire il senso profondo dell'iniziativa di Gesù. Ecco, allora, un'ingenua e sempre attuale auto-raccomandazione: i figli di Zebedeo vogliono diventare importanti, avere un qualche ruolo. Gesù è sbigottito, attonito, si scalda: la gloria che lo riempirà sarà immensa. Ma dovrà passare attraverso il torchio della croce. Che ne sanno gli apostoli della misura della sua sofferenza? Che ne sanno di quanto immenso sarà il sacrificio del Figlio di Dio? Che ne sanno... Ma il culmine della brutta figura arriva quando gli apostoli si battibeccano con i due fratelli: probabilmente tutti ambivano a quei posti, i due "boanaerghes" li hanno battuti sul tempo! E Gesù, ancora, con pazienza, inizia una riflessione sul servizio. Poveri apostoli, povera Chiesa, così simile a noi in tutto! Povera comunità che dovrà passare per il vaglio del patibolo e sperimentare l'amaro calice del tradimento e dell'abbandono per passare dalla disperazione alla fede in Cristo Risorto. Così simili a noi, questi apostoli, così simili a noi... Potere: chi non ne ha? Potere che è la capacità di dare la felicità a chi ci sta intorno; o la sofferenza. Potere di far soffrire gli altri: un muso tirato lungo con la moglie, un capriccio esagerato con i genitori, uno sgarbo col collega in ufficio. O il potere, terribile di uccidere con la lingua. Lingua che spezza, travolge, tritura nei giudizi. Potere, devastante, di infangare una persona, di cucirle addosso un cappotto, di insinuare un dubbio, emettere una sentenza. Sono troppo duro? Siamo realisti. Tra le varie colpe di cui i cristiani si macchiano non è questa la più grave? La mancanza di misericordia non è forse lo scandalo inaccettabile dei cristiani? Che strano, l'uomo, così faticosamente impegnato a conoscere se stesso, pieno di contraddizioni e di ambiguità, legge con chiarezza irrefutabile la vita degli altri. Ma il cristiano non dovrebbe forse, abitato dallo sguardo di misericordia di Cristo, vedere nell'uomo il capolavoro che Dio ha disegnato nel progetto della sua vita? Viene da dire con papa Giovanni XXIII che scriveva nel suo diario intimo:"Prometto che delle persone che conosco dirò solo il bene. E se non vi sarà nulla di bene da dire starò zitto". La comunità è chiamata a dare una testimonianza di misericordia e di perdono, a partire dal proprio interno. Ma prima anche noi dobbiamo passare nel torchio della croce, dello sperimentare la nostra povertà per abbracciare ogni uomo con quello sguardo di tenerezza e di misericordia che Dio posa su di me. Potere da gestire come servizio alla felicità dell'altro. Potere che può e deve diventare gioia di suscitare nell'altro potenzialità e risorse a lui stesso sconosciute. Possano le nostre comunità, marchiate dalla croce, mettersi a servizio dell'umanità, diventare missionarie di misericordia, di tenerezza, di servizio. Gratuità, sorriso, piena umanità che, ricevute da Cristo, contagiano i nostri quartieri, le nostre famiglie, le nostre scuole. Dalla logica del sospetto a quella della fiducia, dalla logica dell'accaparramento a quella della condivisione. Fra noi sia così, fra noi è così se ci accosteremo al distributore di grazia, come suggerisce la lettera agli Ebrei, il Signore Gesù. Lui, l'amico degli uomini, l'Amante senza misura, la sorgente della tenerezza che ci chiama a diventare suoi testimoni. |