Omelia (02-11-2010)
don Alberto Brignoli
Non siamo più soli!

Molti hanno provato a scrivere su di lei. Alcuni ci sono riusciti pure in maniera egregia. Pochi, per la verità, l'hanno compresa e accettata così com'è fino in fondo. Nessuno, comunque, pur volendo, può fare a meno di lei.
Chi la vede come liberazione, chi come una tragedia; c'è chi la attende come un destino ineludibile, chi invece si prepara a viverla con dignità.
Per molti è la fine di tutto. Per tanti altri, la porta che ci apre a qualcosa di nuovo.
Unico arbitro veramente imparziale, non fa torti a nessuno. Affascinante e misteriosa signora, invita tutti al suo ballo: giovani o vecchi, poveri o ricchi, felici o disgraziati, delinquenti o santi, nessuno ha ballato con lei più di una volta. E tutti scenderanno in pista con lei, una volta sola.
I governanti vorrebbero legiferare su di lei, e i filosofi interpretarla. Gli scienziati vorrebbero sconfiggerla, i potenti allearsi con lei. Gli uomini di fede la rispettano, gli atei la esorcizzano, gli indifferenti la ignorano: ma quasi tutti si arrabbiano con lei, quando fa quello che non dovrebbe fare.
Gli eroi la sfidano, i poveri la aspettano, i poeti la cantano e i signori la subiscono.
C'è pure chi ha detto che non è da temere, perché quando c'è lei, non ci siamo noi, e quando ci siamo noi, lei non c'è. Almeno per quanto riguarda la nostra vita. Poi però si presenta, spesso inattesa, a chi condivide la vita con noi: ed è lì che riesce a farci paura, perché ci fa male, tanto male.
Tutto ciò che vive passa da casa sua, e lei gli dà un passaggio sulla sua auto, che fa continuamente la spola tra la natura e l'eternità.
Di fronte a lei, ti chiedi: "Che senso ha nascere?". Eppure, se non ci fosse, ti chiederesti: "Che senso ha vivere?".
La Natura cerca di nasconderla, come una cosa sgradevole da vedere, e spesso ci riesce egregiamente; poi, però, ne sente il bisogno, soprattutto per mettere a tacere l'arroganza, e allora va a tirarla fuori dal cassetto.
Limpida e chiara come uno specchio brillante, con l'uomo svolge perfettamente la sua funzione, perché gli mostra in maniera inequivocabile ciò che egli è.
Ad ognuno, durante la vita, porta via qualcosa, eppure non ruba niente a nessuno.
È l'esatto contrario di tutto ciò che esiste; ma paradossalmente, chi si interessa di lei si interessa della vita.
Anche l'uomo di fede si pone delle domande, di fronte a lei, e spesso si sente solo e senza risposta.
Nell'Antico Israele, c'è chi la vedeva come una "maledizione", chi invece come "un salario da pagare per il peccato". Giobbe la chiama "la casa di ogni vivente", i Salmi la descrivono come "un'ombra", un "fango della palude", un "laccio", un "precipizio"; Qoélet le lascia scandire il tempo di ogni cosa, gli amanti del Cantico dei Cantici la definiscono "forte come l'amore".
Ma dopo l'anno zero, Ambrogio la chiama "porto per i giusti e naufragio per i malvagi"; per Agostino semplicemente "non è nulla, non è successo niente, si cambia solo di stanza"; Francesco addirittura la chiamerà "sorella".
Come mai? Cos'è successo, dopo quell'anno zero della nostra era? Che cosa ha fatto, il Figlio di Dio, con "l'ultimo nemico ad essere annientato"?
Umanamente parlando, nulla di particolare. Ha ballato anche lui, una sola volta. È passato pure lui da quella porta, in quello specchio vi si è riflettuto, per colpa sua ha pure pianto per un amico, con lei nel cuore ha sudato sangue, di fronte a lei ha gridato al Padre la sua solitudine.
Niente di strano, dunque, se non fosse per quella sua tomba vuota: la giocata più mancina fatta da Dio alla morte.
È vero, Epicuro aveva ragione: la morte non è da temere perché c'è quando non ci siamo noi, e viceversa. Ma c'è un momento, ed è il morire, che fa problema perché ci siamo entrambi: la morte e noi. E questo fa paura, a noi come all'uomo di ogni tempo. Ha fatto paura pure al Figlio di Dio.
E la paura viene con le stesse motivazioni di sempre: abbiamo paura perché siamo soli.
Una difficoltà affrontata da soli fa tutto più pesante. Una malattia affrontata in solitudine rallenta la guarigione. Un dolore vissuto da soli pesa di più. Immaginiamoci la morte solitaria...
Forte com'è, questa signora non ha difficoltà alcuna a metterci a tappeto, se siamo da soli ad affrontarla. La stessa forza d'animo di Gesù viene messa a dura prova, dal deserto del Getsemani prima e dal desolante Calvario poi.
Dio sa bene qual è la forza della morte rispetto all'uomo. E siccome non può eliminarla (che ci serva di lezione, questo, per capire che noi non siamo Dio...), sceglie di sconfiggerla continuamente. Come? Non salvandoci "dalla" morte, ma salvandoci "nella" morte del suo Figlio. Ovvero, facendoci capire che non era sufficiente che suo Figlio morisse in croce "per" noi, ma facendoci sentire che Egli muore "con" noi, ogni volta che un figlio dell'umanità affronta il passaggio finale.
Cristo grida la sua disperazione e la sua solitudine di fronte alla morte. E come Dio gli fa sentire nel Getsemani la presenza del suo angelo che non lo lascia solo, così sulla croce gli fa sentire la sua presenza di Padre, che porterà Gesù ad abbandonarsi totalmente "nelle sue mani". Questa è la sua e la nostra Resurrezione. Questa è la sconfitta della morte: rendere l'uomo consapevole che non è più solo, perché Dio è con lui, nella morte come nella vita di ogni giorno.
Questo dà nuovo senso all'esistere! Questo dà stimoli a vivere meglio la vita, senza disperazione: non la sterile speranza in un "mondo migliore" che verrà a consolarci dei dolori presenti, ma la serena certezza della presenza di Dio nella nostra vita ma soprattutto nella nostra morte!
Con tutta la responsabilità che per noi ne deriva, durante la nostra vita:
a vivere con intensità le nostre giornate, consapevoli che la morte verrà, un giorno, ma non sarà la parola "fine", bensì "il fine" della nostra vita;
a gridare a tutti gli uomini che la vita è bella perché non siamo soli, e che una morte sarà tanto più serena quanto più serena, bella ed intensa è stata la nostra esistenza;
ad accompagnare ogni uomo che soffre e che muore, perché il dolore e la morte per essere vissuti degnamente non hanno bisogno di leggi o di sentenze da parte di un tribunale, ma di solidarietà tra di noi;
ad aiutarci a vicenda a capire che, se abbiamo amato, non perdiamo mai coloro che amiamo perché possiamo amarli in Colui che non si perde mai.
Nessuno elimina il dolore della morte, né l'angoscia del morire: ma sapere che Dio è con noi, sempre, nella vita e nella morte, mette nel nostro cuore una scintilla d'eternità, e ci dona la pace.