Omelia (19-03-2009)
Paolo Curtaz


Oggi celebriamo la festa del Santo più sfortunato della storia della Chiesa: Giuseppe! Non gliene è mai andata una diritta. Dio gli ha rubato la ragazza, ha passato la vita a fare il padre ad un ragazzo che non era suo, e di lui non è stato raccontato praticamente nulla...

Matteo oggi scrive due righe per definire una realtà sconvolgente: "Giuseppe che era un uomo giusto decise di licenziarla in segreto". Nel Deuteronomio troviamo una piccola norma: se, dal momento del fidanzamento al momento del matrimonio la fidanzata commetteva adulterio doveva essere denunciata dal futuro sposo e lapidata pubblicamente. L'unico che poteva sapere che quel figlio non era suo era Giuseppe. Per gli altri l'apparenza era salva, l'unico a sapere era Giuseppe, che prende una decisione che ne rivela il cuore: non se la sente di far massacrare Maria e decide di ripudiarla in segreto. La giustizia, in questi tempi un po' tormentati, significa proprio questo: non giudicare secondo le apparenze. Giuseppe è grande perché scava, perché, addirittura, nega l'evidenza; o meglio, cerca una ragione all'evidenza, e la giustifica. Giuseppe ci insegna che per accogliere il Signore bisogna entrare nella logica del non giudizio, bisogna entrare nella logica della giustizia. La giustizia di Giuseppe consiste proprio in questa piccola frase che dice tutto il suo cuore, dice tutto il suo essere profondo, dice tutto il suo bisogno di verità nella sua semplicità straordinaria; è davanti all'evidenza ma vuole ancora giustificare, non capisce ma mette da parte il suo orgoglio di maschio ferito e lascia prevalere il Mistero.