Omelia (09-04-2009) |
Paolo Curtaz |
È l'ora, amici, l'ora è giunta. Assisteremo allo spettacolo di un Dio che muore per amore, che si consegna alla volontà di un uomo che non si consegna a Dio. Oggi il Signore inventa la cena, povero segno di un amore assoluto, piccolo gesto di un cuore che esplode. La cena. La prima, l'unica, quella che ripetiamo in obbedienza, quella che stravolgiamo e offendiamo con le nostre celebrazioni zoppicanti, con le nostre devozioni appassite, con le nostre gestualità incancrenite. Eppure basterebbe guardare e tacere, mettersi in un angolo della stanza al piano alto, al lume delle candele che bruciano olio, per sentirsi travolgere. Ecco. Dio ha dato tutto, che altro? I suoi non capiscono, discutono (cfr la Cena in Luca), sono altrove, spaesati, straniti, sciocchi. La missione è fallita, il popolo non ha riconosciuto il Messia, non l'ha voluto, non ha superato l'insormontabile ostacolo della sua banalità, della sua insostenibile umanità. Tutto è compiuto, Gesù è totalmente solo, definitivamente solo. Dio è abbandonato. Silenzio, amici, silenzio. Oggi a scuola, al lavoro, viviamo come se fossimo in clausura, il cuore gonfio come chi sta per partecipare al più grande dei momenti, al più inatteso dei doni. Oggi Dio inventa l'eucarestia, e il sacerdozio. L'uno per l'altro e, insieme, immaginati per manifestare la misura dell'amore. Abbi pietà di noi, Dio che indossi il grembiule e ti metti al servizio di noi mendicanti, abbi pietà di noi e della nostra incommensurabile indegnità. |