Omelia (15-04-2009)
Paolo Curtaz


Due di loro si allontanano da Gerusalemme, sono in cammino e parlano di tutto quello che è successo, della morte del loro Maestro. Come ama dire Luca, è in un contesto di cammino che avviene l'incontro col Risorto.
Siamo in cammino, amici: in cammino, alla scoperta di ciò che valiamo, alla scoperta di cosa ci stiamo a fare su questa terra, in cammino per scoprire il nostro destino, la nostra chiamata. Abbiamo tutta la vita per diventare uomini, tutta la vita per convertirci al Vangelo. È un'esperienza comune, reiterata, quotidiana: abbiamo bisogno di tempo e fatica per crescere, per capire. Tuttavia, per quanto semplice, non è un atteggiamento automatico: possiamo impedirci di crescere, chiuderci a riccio di fronte ai nostri (inevitabili) errori e così ristagnare nelle nostre piccole sicurezze (o grandi insicurezze). Allora perché passiamo la vita a vedere la nostra casa in costruzione e a lamentarci di tutto ciò che non funziona, a notare di più ciò che manca, rispetto a ciò che già esiste? Perché, in teoria, diciamo di essere in cammino e, in pratica, vorremmo già essere arrivati? Perché tutta quest'intolleranza verso noi stessi e gli altri, quest'incapacità a pazientare, ad attendere che il seme cresca e porti frutto?