Omelia (01-05-2009) |
Paolo Curtaz |
La tensione fra Gesù e la folla dei suoi discepoli che lo hanno cercato dopo il fallimentare miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, è ormai al culmine. Gesù, adombrando un altro pane che dona vita, che sazia per sempre, più grande della manna data da Mosè, sembra riferirsi all'eucarestia, al dono totale di sé. E, così, giunge a chiedere ai suoi discepoli una sorta di "cannibalismo" rituale: di cibarsi del suo corpo, di bere il suo sangue. I biblisti discutono se queste parole siano state rilette dalla comunità cristiana dopo la resurrezione, calcando un po' la mano, o meno. Poco importa: sappiamo che per la comunità cristiana il desiderio di Gesù di consegnarsi ai suoi discepoli nasce in questo contesto, sappiamo che per la prima comunità la cena, quella cena, è il segno della presenza del Signore. Gesù dice che cibarsi di lui (nell'eucarestia) ci fa dimorare in lui e vivere per lui. L'eucarestia, segno efficace della presenza del risorto, ci innesta in Cristo, ci permette di conoscerlo e di configurarci a lui,. Vogliamo, allora, prepararci all'ormai prossima domenica mettendo al centro la celebrazione, anche se spesso celebrata in contesti di abitudine e di stanchezza, recuperandone il valore salvifico assoluto. |