Omelia (19-10-2003)
don Fulvio Bertellini
Una cultura del servizio

Punto di partenza negativo

Per quel che ne so e per quel che mi pare, il concetto di "servizio" in tutte le culture e in tutte le lingue è un concetto tendenzialmente negativo. In ebraico la stessa parola può indicare l'uomo di fiducia, il servitore semilibero, lo schiavo privo di libertà e tendenzialmente privo di diritti. L'idea di fondo è che un inferiore sta alle dipendenze di un superiore; il padrone è uomo in senso pieno; il servo/schiavo, per quanto stretto possa essere il rapporto che lo lega al padrone, resta sempre meno uomo. Mi pare che così sia rimasto, senza grandi variazioni, fino ad oggi. L'uomo di successo è colui che non deve chiedere e può pagare per farsi servire.

Il prezzo da pagare

I servizi infatti costano caro. Nessuno fa volentieri quello che normalmente fanno gli schiavi, ad eccezione dell'ambito familiare. Ma in una famiglia vigono regole diverse. Ci dovrebbero essere forti legami d'amore, e una forte disponibilità a sacrificarsi gli uni per gli altri. Appunto per questo però nel passato (ma anche oggi) l'impostazione della famiglia poteva risultare oppressiva, con uno a comandare e farsi servire (generalmente in padre di famiglia) e gli altri a disposizione (generalmente la donna).

Un rovesciamento di prospettive

Se non consideriamo questo sfondo di partenza negativo, difficilmente le parole di Gesù ci colpiscono con tutta la loro forza. "Il figlio dell'Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire". "Chi vuol essere il primo sarà il servo di tutti". Quella che Gesù enuncia è una realtà scomoda, difficile da assumere, ma dopo duemila anni di cristianesimo non ce ne rendiamo conto. Per noi è normale la cura dei malati negli ospedali, il volontariato a favore dei bisognosi, l'attenzione educativa ai giovani, la cura dei bambini... ma se andiamo a riguardarci la storia, troviamo grandi santi, come Camillo de Lellis, che hanno dato un impulso decisivo all'umanizzazione dei luoghi di cura (che prima erano luoghi di confino dei rifiuti della società); vediamo che le prime associazioni di volontariato sono le confraternite cristiane, riscopriremo che nell'Ottocento il primo che si prese cura delle masse di ragazzi e giovani allo sbando nella Torino industriale è Giovanni Bosco, e che il primo asilo d'infanzia è stato fondato, circa un secolo fa', dal prete mantovano (in Diocesi di Cremona) Ferrante Aporti.

Valori diventati universali

In questo modo prendersi cura degli altri è diventato per noi un fatto positivo, universalmente riconosciuto. Per noi, che viviamo in una cultura impregnata di certi valori, è un fatto normale, semplicemente umano che esistano ospedali, scuole, la Croce Rossa, la Croce Verde, gli asili... Ma ad esempio gli indiani si stupirono molto di come Madre Teresa si impegnasse a favore degli ultimi. Non è per nulla un fatto scontato. Ed è come un habitat ecologico: a forza di bistrattarlo si rischia di perderlo.

Nuove frontiere

Ricordiamoci allora che servire gli altri non è volontariato gratificante per riempire i vuoti di tempo; non è neanche solo un impegno che serve a formare la personalità; non è solo una ricetta per la felicità. Servire i fratelli, per noi, è imitare Cristo. Essere come lui. Seguirlo sulla via della croce. Nel passato grandi santi e umili cristiani hanno fatto questo, hanno incarnato questo Vangelo, fino a farlo diventare cultura. Nella nostra società il servizio (quello vero, scomodo, radicale) ha nuove frontiere. Sapremo seguirlo anche lì?




Flash sulla I lettura

"Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a lui": da tempo immemorabile questo brano del profeta Isaia suscita interrogativi e appassiona i lettori, siano essi semplici fedeli o grandi studiosi. Il primo problema riguarda l'identificazione di colui che viene chiamato "servo del Signore": secondo alcuni si tratta di un personaggio singolo, secondo altri rappresenta il popolo di Israele come collettività; secondo altri ancora rappresenterebbe la parte "giusta" del popolo, travolta a causa del peccato di altri nella catastrofe dell'esilio. I Vangeli riferiscono questo brano a Gesù nella sua opera di guarigione dei malati (Vangelo di Matteo), nella sua qualifica di "servo" (il Vangelo di questa domenica), e nella sua Passione (i racconti della Passione). L'attribuzione a Gesù però non risolve tutti i misteri di questo splendido brano, che conserva anche per noi tutto il suo fascino e il suo mistero. A chi pensava l'autore? Come fu interpretato dai primi ascoltatori? Daremo qualche risposta riferendoci alla situazione dell'esilio.
"Disprezzato e reietto dagli uomini": questa frase si potrebbe attribuire al popolo esiliato, e disprezzato dagli altri popoli, ma anche ad un profeta o a un capo del popolo che tenta di risollevare la sua speranza e incontra difficoltà.
"Uomo dei doloro che ben conosce il patire": anche nel libro delle lamentazioni la situazione del popolo è paragonata a quella di un uomo duramente provato dalla vita. Ma anche questo brano può ricevere un'interpretazione personale, riferita ad un personaggio ben determinato, che tenta di compiere la volontà di Dio e per questo viene perseguitato. Noi che vediamo questa affermazione compiuta in Cristo, possiamo nondimeno attualizzarla nella nostra situazione personale e nella nostra situazione di Chiesa: anche per noi, come singoli e come comunità, seguire Cristo può comportare persecuzioni e sofferenze. Ma non è che troppo spesso tendiamo a dimenticarlo?
"A Dio è piaciuto prostrarlo con dolori": brutta traduzione di un testo ebraico che allude al progetto salvifico di Dio. Dio non si compiace del dolore, ma riesce trasformare anche un evento di sofferenza in una possibilità di salvezza.
"Vedrà una discendenza, vivrà a lungo": nel contesto dell'Esilio, l'allusione è alla sopravvivenza del popolo, alla speranza che non viene mai meno. Di fatto la comunità di Israele seppe sempre risorgere dalle varie catastrofi individuali e collettive.
"Il giusto mio servo giustificherà molti": uno dei grandi problemi al tempo dell'esilio era il problema del peccato, della responsabilità personale, del castigo. Questo testo va oltre le visuali anguste, e introduce l'idea che da parte del giusto ci possa essere una solidarietà nei confronti dei peccatori che può diventare riscatto e redenzione. Ma come può uno solo - o una collettività - addossarsi il peccato di altri? E' l'enigma più affascinante di questo testo, che sarà risolto soltanto da Gesù, e che diventa una sfida per l'oggi della nostra comunità: sappiamo essere solidali anche con i peccatori, come il Maestro che si è fatto servo di tutti?

Flash sulla II lettura

"... poiché abbiamo un grande sommo sacerdote che ha attraversato i cieli...": nella lettera agli Ebrei vengono attribuite a Gesù le qualifiche del sommo sacerdote giudaico, tra i cui compiti principali c'era la cerimonia annuale dell'espiazione. Gesù però ha "attraversato i cieli": ha un reale accesso al mondo divino, e realizza una reale mediazione tra Dio e gli uomini.
"... non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità...": nello stesso tempo Gesù è realmente vicino agli uomini, avendo sperimentato pienamente la condizione umana "escluso il peccato" (e occorre tener presente che nella sua radice più profonda il peccato è dis-umanizzazione, negazione dell'umanità: per cui la sua assenza in Gesù non compromette la solidarietà con gli uomini).
"Accostiamoci dunque con piena fiducia": uno dei rischi della nostra vita spirituale è la perdita dell'atteggiamento di assoluta confidenza in Cristo che caratterizzava la prima generazione cristiana. Per cui ricorriamo a vari tipi di preghiera, alle pratiche devozionali, all'intercessione dei santi, riscopriamo la spiritualità orientale... ma tutto ha lo scopo, alla fine, di condurci all'amicizia con Dio in Cristo. Allora perché rischiare di disperdersi?