Omelia (21-06-2009)
Paolo Curtaz


Ci sono momenti nella vita in cui abbiamo l'impressione di affondare, travolti dal dolore o dai nostri sbagli, quando arriva un dolore più forte, una prova insostenibile, malgrado tutti i nostri sforzi, magari sinceri. Succede così anche agli apostoli: al discepolo il dolore non viene evitato.

Non ho mai trovato gran risposte al dolore nella Bibbia. Quando Giobbe, alla fine della lunga lamentazione di cui è protagonista, chiede ragione a Dio della sua situazione disastrosa, Dio appare e non risponde, ricorda al povero Giobbe l'immensa distanza che separa l'Assoluto di Dio dai nostri goffi tentativi di comprensione. Dio, però, non sta sulle nuvole e guarda distrattamente il nostro destino. Egli è il presente, egli condivide con gli apostoli la traversata. Dorme, certo, ma gli importa del dolore e della paura dei suoi figli. Al punto che assieme a noi corre dei rischi, è con noi sulla barca anche se si affida all'imperizia di questi marinai di acqua dolce che siamo noi... Dorme, ma sta sulla barca per condividere fino in fondo il nostro destino. Dorme, e non interviene perché vuole lasciare alla nostra dignità, alle nostre capacità, il compito di arrangiarsi nelle difficoltà della vita. Perché chiediamo aiuto a Dio in situazioni in cui potremmo forse intervenire noi? Perché non ci fidiamo di questo Dio che conosce le nostre sofferenze e sa placare la tempesta? Dio ci rende capaci di attraversare il mare in tempesta. Egli è con noi, anche quando non interviene.